Albanese ucciso a Vaprio. La rabbia degli amici: "Chi ha sparato vada in carcere"

Dalla camera mortuaria al casolare di Trezzo dove la vittima viveva

Una foto di Gjergi Gjonj dal suo profilo Facebook

Una foto di Gjergi Gjonj dal suo profilo Facebook

Trezzo sull'Adda (Milano), 24 ottobre 2015 - In una cella dietro la porta a vetri dell’Istituto di medicina legale di Milano c’è Gjergi Gjonj, il ladro albanese di 22 anni ucciso da Francesco Sicignano nella sua villetta di Vaprio, martedì notte. Al piano seminterrato, alla spicciolata, scendono amici e parenti dell’immigrato clandestino freddato con un colpo di 38 che l’ha trapassato da parte a parte, entrato dal cuore e uscito dalla schiena. La prima ad arrivare all’obitorio è stata Mirela, la fidanzata trentenne che, non vedendolo rincasare, ha chiesto aiuto ai carabinieri in un crescendo di ansia e preoccupazione, fino all’identificazione. "Il morto era lui", dice fra le lacrime. L’entourage della vittima ha voglia di sfogarsi, ma senza dire il nome. "Non riesco a credere che non ci sia più", mormora uno degli intimi mentre passeggia avanti e indietro dal cancello austero di via Ponzio. Tutto questo "uscire allo scoperto" li imbarazza. Loro, spiegano, sono abituati a stare in disparte.

Sembrano  passati anni luce dalle fotografie postate su Facebook dai due innamorati. Sorridono in gita, a casa, al supermercato. E adesso i compagni di sempre si ritrovano a organizzare un funerale. I genitori di Gjergi sono in Albania, "piangono un figlio", ripete, mesto il corteo. A una trentina di chilometri da dove riposa la salma, c’è la vecchia cascina dove il ragazzo abitava. Alla periferia di Trezzo, alle spalle del Centro sportivo. Preceduta da un viavai di villoni che non farebbero mai sospettare un ventre molle, spunta la tana, un girone infernale angusto e fatiscente, dominato dall’accento dell’Est.

Nella corte su una stradina secondaria ci sono parcheggiate delle auto. Al secondo piano, in cima a una scala pericolante, un corridoio con due file di porte, una di fronte all’altra. Dietro a una di queste ricompare Mirela. Bionda, distrutta ma energica. Tuta da ginnastica e coda di cavallo, in mano una foto di Gjergi. Le parole sono aspre e piene di dolore. "L’hanno ammazzato". Non fa in tempo ad aggiungere altro: il cugino della vittima la richiama all’ordine. "Il signore che saluta dal balcone mentre la folla applaude sa cosa è successo. Una vita è una vita", ripete come un mantra. "Quell’uomo ha un figlio più grande di Gjergi. Ci auguriamo che vada in galera".

"Siamo la sua famiglia, non si può uccidere così un ragazzo di 22 anni. Aveva tutta la vita davanti". La rabbia ha il sopravvento quando il pensiero corre "al vostro compaesano". Che la nazionalità del ladro faccia la differenza qui è una certezza. "Se il morto fosse italiano, sarebbe tutto diverso", aggiunge un amico. "E non dite che non è vero". La vecchia casa di corte è al centro delle indagini, concentrate sulla ricerca dei complici di Gjonj. Anche loro fanno parte della grande famiglia allargata. Ieri nell’abitazione di Trezzo c’erano una decina di giovani fra i 20 e i 30 anni.