Delitto d'onore, la difesa del killer di Gorgonzola: "Ha rubato mia moglie"

Parla uno degli assassini dell'idraulico ucciso sul Lungomare a Rimini

La scena del delitto a Rimini

La scena del delitto a Rimini

Gorgonzola (Milano), 28 maggio 2016 - Prima notte in cella, ma nessun pentimento per i tre protagonisti della faida di Gorgonzola, finita nel sangue a Rimini. Lek, Edmund e Altin Preci non si piegano neanche dietro le sbarre di San Vittore. L’avvocato del marito-aguzzino che ha innescato la tragedia, il più giovane del clan – col fratello e col padre ha punito lo zio della moglie «colpevole di avergliela rubata», ribadisce il movente dell’omicidio.

Kanun, vendetta albanese. Il bandolo della matassa è tutto nell’onta di essere stato abbandonato dalla giovane moglie, con l’aiuto dei parenti. Ambra, solo vent’anni e già messa all’angolo dalla vita e da un matrimonio impossibile. Uno sgarro insopportabile per lui, in quel suo mondo bianco e nero, dai valori arcaici, dove la donna è una proprietà. Un amore creduto tale dalla ragazzina, ma presto diventato schiavitù, con l’obbligo di sottostare agli ordini di tutti in quella casa.

Una prigione di soprusi, che l’ha spinta a chiedere aiuto al fratello e allo zio, Petrit Nikolli, idraulico 40enne stroncato da un colpo di pistola alla schiena, per non avere esitato a darglielo.

A regolare i conti, in riviera, ipotizzano gli inquirenti, il pater familias, Lek, piccolo imprenditore edile 60enne. Ha estratto la semiautomatica che si era portato con sé dopo una lite furiosa e una breve colluttazione con la vittima davanti al ristorante gestito dal nipote, sotto gli occhi dei testimoni. Un’azione fulminea. Una sequenza allucinante, resa ancora più dolorosa dai quattro figli dell’artigiano, l’ultimo in arrivo, rimasti senza papà.

«Finora ci siamo occupati di integrazione della pastasciutta – dice il sindaco Angelo Stucchi – abbiamo badato cioè ai bisogni primari, ma questo terribile episodio ci indica una volta di più la strada del futuro: dobbiamo andare oltre e dedicarci anima e corpo all’integrazione dei popoli. Noi amministratori siamo chiamati a garantire la coesione sociale, non possiamo essere lasciati soli. Anche la scuola giocherà un ruolo fondamentale. Abbiamo davanti una sfida epocale».

Così il primo cittadino affronta il tema il giorno dopo la tragedia. «È questo il nocciolo del problema, nella nostra cultura la vita umana vale più di ogni cosa, in altre, no. Non possiamo però pretendere che comunità vissute nell’arretratezza si evolvano in poco tempo. La storia e i cambiamenti sono lenti. Noi, per uscire dal nostro medio evo, ci abbiamo impiegato secoli».

Parole destinate ad aprire un dibattito. Fino al delitto – i Lek sono tutti e tre accusati di omicidio volontario – questa famiglia albanese non aveva mai avuto problemi. «È gente che non può contare su una rete sociale – ancora Stucchi – non hanno un prete al quale chiedere consiglio, o un amico che possa dissuaderli quando sono sull’orlo del baratro». Il sindaco dice che «è necessario un nuovo approccio. Non possiamo porci col nostro metro di giudizio».

E questo vale sul piano antropologico. Su quello penale, invece, la famiglia assassina, dopo la convalida del fermo, verrà trasferita in carcere a Rimini. A una manciata di chilometri da dove l’altro giorno in un attimo padre e fratelli hanno spezzato il filo di tante vite. «Erano venuti a rubare mia moglie», ha detto Edmund quando l’hanno arrestato.

In questa frase c’è tutto. Anche se suo padre sta provando ad addossarsi tutta la colpa per lasciare fuori i ragazzi di 25 e 26 anni. Mentre si cerca ancora la piccola semiautomatica usata per l’esecuzione. L’arma non si trova, l’imprenditore che non ha spiegato come se la sia procurata, ha raccontato di averla buttata in un canneto dieci minuti dopo la spedizione punitiva, quando il muso della Croma grigia prestata da un amico era già rivolto verso Gorgonzola.