Il Csm trasferisce il pm inflessibile «Decisione ingiusta, ma la rispetto»

Provvedimento provvisorio contro Abate. Che lascia Varese per Como di ENRICO CAMANZI

Il magistrato Agostino Abate

Il magistrato Agostino Abate

Varese, 9 novembre 2015 - Agostino Abate, dopo 31 anni di servizio in procura a Varese, lascia il palazzo di giustizia di piazza Cacciatori delle Alpi. Un trasferimento «provvisorio», annuncia il magistrato in una nota, ma la notizia fa lo stesso rumore. Perché il pm campano rappresenta un pezzo di storia della giustizia varesina. Ma anche perché l’arrivederci avviene per decisione del Csm, come annota lo stesso Abate, «in attesa di verificare nel merito i rilievi mossimi». Il pm che indagò sull’omicidio di Lidia Macchi e che fu l’artefice dell’inchiesta nota come «Tangentopoli varesina» prenderà servizio a Como. Magistrato rigoroso e preparato, noto per la sua inflessibilità, Abate è a Varese dal giugno del 1984.

Il primo grande caso è l’omicidio di Lidia Macchi, la studentessa ciellina uccisa con 29 coltellate nel gennaio dell’87 da una mano a oggi ignota. Fu la prima vicenda in cui si provò a utilizzare la scienza come «arma» d’indagine. Nel 1988 Enzo Tortora, che allora conduceva la trasmissione Rai «Giallo», sollecitò gli inquirenti a sottoporre all’esame del Dna tutta la cittadinanza. Ci si concentrò, invece, su un sacerdote, ma il test fallì: troppo scarsi i reperti trovati sul corpo trafitto da 29 coltellate. Allora per alcune scelte investigative il magistrato entrò in contrasto con la curia varesina, che contestò le modalità dell’interrogatorio di alcuni religiosi.

Nel gennaio ’91 indagando su alcune presunte tangenti riguardanti la casa di riposo di Cunardo, Abate diede la stura alla cosiddetta «Tangentopoli» varesina, in anticipo sul pool milanese di Mani Pulite. Furono arrestati o indagati a piede libero esponenti di spicco di Dc e Psi, soprattutto, ma anche del Pds e della emergente Lega Nord. I processi, però, si conclusero soprattutto con assoluzioni o estinzione dei reati per prescrizione. Il resto è storia recente: inchieste anche clamorose (nel 2004 mise sotto accusa l’allora sindaco leghista Aldo Fumagalli, poi costretto alle dimissioni), alternate alle polemiche sul caso Uva - costate anche un’azione disciplinare dall’allora ministro Cancellieri - e l’avocazione del fascicolo Lidia Macchi da parte della procura generale di Milano. Ora l’addio. In coincidenza del quale il magistrato vuole togliersi qualche sassolino dalla scarpa, a giudicare dal comunicato.

«Pur non ritenendo giusta», la decisione del Csm, «verso la quale eserciterò i diritti previsti - esordisce Abate - ho il dovere di rispettarla». Il resto dello scritto è un’accorata autodifesa. «Nella mia quotidiana attività - scrive il magistrato - ho sempre doverosamente difeso la più totale autonomia e indipendenza di giudizio, considerando ogni parte processuale pari a chiunque altra».Il magistrato rivendica ogni decisione. Anche quelle che hanno suscitato osservazioni dalle parti in causa nei procedimenti a lui affidati. «Non ho permesso - afferma - che (le pressioni subite, ndr) condizionassero le decisioni nelle indagini». In chiusura, rende «particolare ringraziamento ai collaboratori e agli appartenenti delle forze di polizia». Dal canto suo il senatore PD Luigi Manconi, storico «nemico» del pm, esulta: «Finalmente Abate è stato allontanato da Varese. Mi auguro che questo provvedimento tardivo consenta al tribunale di Varese di valutare con serenità la vicenda della morte» di Giuseppe Uva.