Lo Stato democratico nelle parole di Aldo Moro

“Lo stato democratico è un fenomeno espansivo, non un mondo chiuso”. Sono parole di Aldo Moro, il leader della Dc

Milano, 17 marzo 2019 - “Lo stato democratico è un fenomeno espansivo, non un mondo chiuso”. Sono parole di Aldo Moro, il leader della Dc protagonista di molte delle pagine più importanti della storia della Repubblica, assassinato nel maggio 1978 dalle Brigate Rosse (ispirate da chissà chi) per bloccare un generoso tentativo di radicale rinnovamento della politica italiana. E oggi vale la pena rileggere la sua lezione proprio per capire meglio quanto salde siano le radici della nostra convivenza democratica ma anche quanto inquietanti i rischi d’una sua involuzione. Utili i saggi raccolti in “Aldo Moro nella storia della Repubblica”, a cura di Nicola Antonetti per Il Mulino. Una robusta formazione cattolica ma non clericale. Una politica intesa come servizio e “senso del dovere”, prima ancora che come potere. E l’idea che governare significhi trovare punti di mediazione e di incontro tra esigenze e interessi diversi, nella lenta ma solida costruzione di un consenso diffuso, pagando il prezzo dei compromessi. Una caratteristica: evitare “l’indifferenza verso la giustizia sociale”. Un insuccesso: non essere riuscito a portare tutta la Dc verso una profonda trasformazione interna. Il rapimento da parte delle Brigate Rosse, il processo nella “prigione del popolo” e l’esecuzione a colpi di pistola bloccano questo processo, con conseguenze gravi per tutta la democrazia italiana. Ne scrive, con ricchezza di documentazione e lucidità di giudizio, Giovanni Bianconi in “16 marzo 1978”, Laterza.

In quel giorno, la strage della scorta di Moro (cinque, i morti) e l’inizio di due mesi di paura, depistaggi, mosse di tanti servizi segreti, di tempeste politiche e laceranti discussioni tra partiti e giornali. Alla fine il Partito comunista, che dialogava con Moro per una nuova strategia politica, si ritrovò isolato. L’estrema sinistra cosiddetta rivoluzionaria scivolò nell’irrilevanza, il rinnovamento finì nell’angolo. La tempesta del terrorismo cominciò a placarsi, “il Paese non voleva la guerra civile”. Ma i segni di quella ferita bruciano ancora. Aggravate dal non sapere tutta la verità su azioni e retroscena. C’è un altro leader democristiano, ben diverso da Moro, Giulio Andreotti, “l’uomo di potere più controverso della storia repubblicana”, su cui si concentra l’attenzione di Massimo Franco: “C’era una volta Andreotti”, ovvero “ritratto di un uomo, di un’epoca e di un Paese”, Solferino. Una lunga permanenza in ruoli chiave di governo, dalla fine degli anni Quaranta in poi. La sopravvivenza a scandali e processi, alcuni per legami di mafia (dal più importante ne uscì per prescrizione del reato e solo in parte per assoluzione). Una cura per la trasversalità politica, tanto da avere buone amicizie sia nell’estrema destra sia in ambienti del Pci. L’idea che “il potere logora chi non ce l’ha” e un “pessimismo di fondo sulla natura umana, alleviato dall’ironia”. Una storia comunque tutta da leggere.