"Presenza, relazione ed inclusione Così il teatro sopravviverà a Netflix"

Dialogo con Vacis sull’immortalità di questa arte, nonostante le tecnologie e l’entertainment veloce e diffuso "C’è più bellezza negli occhi di due persone che vedono ciò che guardano anziché in mille forme di Pinterest"

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di Giambattista Anastasio

"Per tanto tempo abbiamo pensato che le pratiche teatrali servissero agli attori per stare in scena, invece servono alle persone per stare al mondo". Il segreto dell’immortalità del teatro sta in queste parole di Gabriele Vacis. Così si spiega perché il teatro abbia resistito alla diffusione del piccolo e del grande schermo, perché resisterà alle piattaforme streaming e a Netflix, perché saprà lasciarsi alle spalle le scorie della pandemia e dei lockdown. Vacis ne è convinto. Ma questo avverrà solo se si terranno allenati i muscoli del teatro: presenza e corpo, scambio e relazione, orientamento all’altro e inclusione.

Regista, drammaturgo, sceneggiatore, docente e fondatore dell’Istituto di Pratiche Teatrali per la Cura della Persona, Vacis affronta a viso aperto la domanda che assilla chi nel teatro crede: quale spazio, quale senso, quale futuro possa avere in un contesto in cui la tecnologia ha elevato la qualità dell’entertainment, rendendolo sempre più coinvolgente e a noi sempre più vicino, a portata di telecomando e smartphone? Perché non abbonarsi a Netflix e chiuderla qui? "Due ore di lucidità": macchiandoci di furto, potremmo titolare così il dialogo con Vacis. "Tutto quello che l’essere umano ha prodotto negli ultimi decenni sono strumenti per comunicare stando lontani – spiega il regista –. Questo è accaduto anche perché l’idea, per dirla come Sartre, era che l’inferno fossero gli altri. Ma non è così. Abbiamo creduto che le tecnologie potessero essere sostitutive. Ma non è così. Il sesso non lo puoi sostituire con youporn. E adesso, proprio grazie alle tecnologie, grazie all’esperienza della pandemia e dei lockdown, abbiamo più che mai bisogno di riscoprire la conoscenza dell’umano, la nostra fisicità, il contatto e la relazione. E chi sono gli specialisti in questo campo? I teatranti. Nessun altro è addestrato come noi". “Relazione“: è questa la chiave per vincere la partita con Netflix o, meglio, per giocarne un’altra, diversa, al riparo da inutili dualismi. "Nel mondo delle nuove tecnologie, il teatro non può reggere il confronto con la produzione sempre più spinta di forme che queste consentono – ammette Vacis –. Nel tempo del cinema era sufficiente la presenza viva di attori in una scena che rappresentasse la realtà. E i grandi maestri hanno lavorato per tutto il Novecento all’abbattimento della quarta parete. Oggi questo non sembra più sufficiente. I programmi di montaggio come Final Cut o Premiere, o quelli che usano i ragazzini su Tik Tok, offrono una tale confidenza con il cinema da costringere il teatro a dare ancora più risalto ai propri caratteri. Oggi – ecco il punto – diventa ancora più necessario portare in luce l’aspetto relazionale ed esperienziale del teatro. Se l’attore sul palcoscenico non ascolta lo spettatore, se la platea è al buio e il pubblico non può essere guardato dall’attore, allora è inutile andare a teatro. Netflix, a quel punto, funziona meglio. È meglio ascoltare un dialogo tra due personaggi dal salotto di casa anziché in teatro se questo significa che loro sono in luce sul palco ed io in platea al buio, quindi in un altro spazio, diverso da quello degli attori. La differenza rispetto al cinema e a Netflix è che in teatro l’attore non è, e non deve essere, indifferente allo spettatore. Sono entrambi nello stesso luogo nello stesso momento. Un teatro di attori che non ascoltano chi li ascolta e non vedono chi li guarda troverà sempre meno ragioni di fronte alle tecnologie e alla produzione di forme che queste consentono".

"Al contrario – prosegue Vacis –, un teatro fedele alla sua essenza, un teatro di attori che rimodulino le proprie competenze al servizio dell’ascolto e della presenza, non morirà mai. Per troppo tempo ostaggio delle forme, il teatro ora deve liberarsene attraverso la relazione. C’è più bellezza negli occhi di due persone che vedono quello che guardano che in mille forme di Pinterest". E questo teatro dovrebbe essere considerato "un servizio pubblico e sociale. Ciò che ancora oggi giustifica il fatto che si paghino le tasse anche per il teatro è che in teatro posso ascoltare chi mi ascolta e guardare chi mi guarda : un’occasione rara in un mondo in cui la comunicazione è mediata e costretta in forme", nota Vacis.

Quindi ecco il tema al centro della ricerca del Vacis regista e della proposta del Vacis docente: la presenza, l’awareness. Da qui origina – al di là di ogni ragionamento sull’intrattenimento – anche il valore formativo del teatro. "Chi fa teatro sa che essere presenti a se stessi, agli altri, al tempo e allo spazio è fondamentale. E in questo senso la scuola non è diversa: anche in aula chi parla può ascoltare chi ascolta. Il buon professore è quello che spiega sempre le stesse cose ma stando in relazione con i suoi studenti, sondandone la presenza, l’attenzione, il coinvolgimento. Bisognerebbe, allora, istituire corsi di “Presenza“. E gli attori sarebbero i più indicati a tenerli. Bisognerebbe che il teatro stesso fosse una materia, come matematica". Perché "il presente del teatro è l’inclusione". "Ogni istituzione pubblica, ogni Piccolo Teatro di Milano, dovrebbe declinare la propria ragion d’essere su tre versanti: il teatro museale, il teatro post drammatico e infine, appunto, l’inclusione – propone Vacis –. Il teatro-museo dovrebbe permettere ai giovani di vedere l’“Opera da tre soldi“ di Strehler, che io ho visto quando avevo 15 anni e mi ha folgorato. Non si capisce perché i giovani non possano avere la possibilità di conoscere il grande teatro di tradizione. Di vedere Goldoni o Pirandello fatti come si deve, senza eccentricità a volte ridicole. Poi il post drammatico: Pina Bausch, Pippo Del Bono, Emma Dante. Riletture dei classici, serie e di qualità. Infine, l’inclusione, il teatro come servizio sociale. In Italia questo teatro non è sostenuto, non come quello di intrattenimento. Ma per l’intrattenimento c’è Netflix. E spesso funziona molto meglio".