Paderno d’Adda, 1 luglio 2012 - Sostiene che lui con l’assassinio di Antonio Caroppa, il padre di famiglia di 42 anni di Paderno d’Adda freddato con un colpo di pistola la sera del 10 maggio nel box sotto casa, non ha assolutamente nulla a che vedere, che si tratta tutto di un equivoco. Santo Valerio Pirrotta, il 45enne di Lurago d’Erba, arrestato settimana scorsa dai carabinieri del Nucleo operativo di Merate e dai colleghi del Reparto investigativo di Lecco con l’accusa di omicidio premeditato in concorso, al Pm incaricato del caso, il Sostituto procuratore Rosa Valotta, ha giurato di non aver ammazzato nessuno e di essere innocente.

Il comasco, sposato e padre di tre figli, è stato ascoltato per la seconda volta nel giro di pochi giorni, dopo che, durante l’udienza di convalida con il Gip, Giudice per le indagini preliminari Massimo Mercaldo, aveva fatto scena muta, avvalendosi della facoltà di non rispondere. Ad assisterlo c’era il suo avvocato Stefano Didonna. “Ha detto si essere estraneo a quanto gli viene contestato”, riferisce il legale.

Oltre a respingere la pesante accusa l’uomo ha comunque deciso di rispondere alle domande poste, nel tentativo di provare la sua versione. “Ha collaborato con gli inquirenti che adesso devono verificare le circostanze e trovare riscontri alle sue dichiarazioni - prosegue il difensore -. Siamo in una fase molto delicata e tutto è coperto dal massimo riserbo”. In attesa degli accertamenti l’indagato resta in carcere.

Lui è il terzo arrestato per l’uccisione del brianzolo. Subito dopo il delitto erano stati catturati il suo vicino di casa Fabio Citterio, anche lui di 45 anni, perito informatico e la cucigna di secondo grado di quest’ultima Tiziana Molteni, operatrice sanitaria di 53 anni di Dolzago. Secondo gli investigatori e chi coordina le indagini ad eseguire materialmente il delitto sarebbero stati i due cugini, a premere il grilletto in particolare sarebbe stato l’esperto di computer. L’ultimo finito in cella invece si sarebbe limitato a controllare che il “lavoro sporco” venisse eseguito a dovere e poi ad aiutare i due a scappare.

In particolare si sospetta che avrebbe svolto il ruolo di intermediario tra un ipotetico mandante e i due “sicari”, procurando loro anche l’arma del crimine, un revolver calibro 38 con matricola abrasa. Resterebbe quindi adesso da individuare chi avrebbe commissionato l’esecuzioni oltre che da capire il perché. Nessuna pista è esclusa, ma si parla di questioni personali, legate agli affetti più cari alla vittima.