Paderno d’Adda , 26 giugno 2012 - Ha fatto scena muta Santo Valerio Pirrotta, 45enne originario di Vibo Valenzia ma residente a Lurago d'Erba, il terzo arrestato nell'ambito dell'inchiesta sull'assassinio di Antonio Caroppa, il padre di famiglia di 42 anni di Paderno d'Adda freddato la sera del 10 maggio nel box sotto casa. Davanti al Pm incaricato del caso, il Sostituto procuratore Rosa Valotta, e al Gip, il Giudice per le indagini preliminare Massimo Mercaldo che ha firmato l’ordinanza per la sua carcerazione, si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Era sconvolto, come gli fosse crollato il mondo addosso - spiega il suo legale Stefano Didonna -. E’ stato chiesto però un nuovo interrogatorio che si svolgerà venerdì”. Gli inquirenti sperano che almeno in quell’occasione parli, per chiarire la sua posizione e il suo coinvolgimento, ma anche per aiutarli a gettare luce su una vicenda che presenta ancora molti punti oscuri. L’accusa per lui è pesante, è quella di omicidio premeditato in concorso, che prevede l’ergastolo in caso di condanna.

Secondo gli investigatori e chi coordina le indagini avrebbe svolto il ruolo di intermediario tra un ipotetico mandante, ancora da individuare, sempre ammesso che la tesi trovi riscontri, e gli altri due arrestati subito dopo il delitto, ovvero il suo vicino di casa Fabio Citterio, perito informatico di 45 anni, sospettato di essere l'esecutore materiale e la cugina di secondo grado di quest'ultimo Tiziana Molteni, operatrice sanitaria di 53 anni di Dolzago, che ha partecipato non si è scoperto a quale titolo, ma forse semplicemente perché una presenza femminile avrebbe rassicurato il bersaglio facendolo cadere nella trappola, in quella che sembrerebbe essere stata una vera e propria esecuzione.

Li avrebbe contattati approfittando in qualche modo del loro stato di fragilità fisica e psicologica. Il calabrese ai due avrebbe promesso in cambio dei soldi, avrebbe fornito loro l’arma del delitto, ovvero un revolver calibro 38 con matricola abrasa, li avrebbe accompagnati sulla scena del crimine, avrebbe controllato a distanza che il lavoro sporco venisse eseguito a dovere e infine avrebbe aiutato il compaesano a scappare.

Era parso abbastanza chiaro fin da subito ai carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile che fosse coinvolto qualcun altro, perchè diversi testimoni avevano riferito di due auto allontanarsi a tutta velocità subito dopo il raid omicida: una Smart, quella della donna e una Matiz, quella dell'esperto di computer, sulla quale però era stato notato anche un secondo individuo cioè lui, come confermato anche dalle immagini delle telecamere del sistema di videosorveglianza installate in zona oltre che dagli altri rilievi tecnici, come ad esempio l‘incrocio dei tabulati telefonici e il controllo delle celle agganciate dal suo telefonino.

Resta adesso da capire il movente, forse da ricercare tra gli affetti personali di gente vicina alla vittima, e appunto da risalire a chi avrebbe ideato e commissionato l'uccisione del brianzolo. I primi due arrestati tuttavia negano di aver attuato un piano premedito. Uno sostiene che doveva solo dare una lezione al 42enne ma che la situazione è degenerata. L’altra che non sapeva assolutamente niente di nulla. E il terzo appunto tace. Almeno per ora.