STIMOLARE LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE TAGLIANDO LA TASSAZIONE

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IL TEMA delle pensioni sta salendo sempre più rapidamente a galla. A fine anno, come tutti sanno, finisce Quota 100 e, se non ci saranno interventi, ritorna lo scalone Monti-Fornero. Che cosa si può fare? Per rispondere a questo difficile quesito vorremmo adottare un approccio sistemico sviluppando un ragionamento che colleghi la previdenza pubblica a quella complementare e, nell’ambito di quella pubblica, il tema dei lavori gravosi a quello della flessibilità in generale. Per la previdenza complementare il suggerimento che ci sentiamo di fornire è quello di stimolare nuovamente le adesioni (ad esempio, un bel semestre di silenzio-assenso) e, per raggiungere più agevolmente l’obiettivo di nuove adesioni, di mantenere una tassazione di vantaggio. Confondere un Fondo pensione, soprattutto se contrattuale, con una speculazione di borsa, è semplicemente ridicolo. Lo è particolarmente in un tempo nel quale la comparsa della figura del lavoratore-povero corrisponderà a quella del pensionato-povero.

Dalla considerazione sorge la necessità di immaginare un cambiamento di ruolo dei Fondi pensione. All‘inizio il secondo pilastro serviva a migliorare una pensione già dignitosa; oggi, diventa indispensabile per poterla avere dignitosa visto che, soprattutto i giovani del lavoro discontinuo, saranno condannati, se non si interviene, a pensioni da fame. Per questo motivo sono dell’idea che l’iscrizione ai Fondi contrattuali debba diventare obbligatoria, perché avere primo e secondo pilastro non è più un lusso, ma una necessità: il silenzio assenso può essere un primo passo.

Sul versante della previdenza pubblica occorre collegare varie tematiche: l’APE sociale, la flessibilità, Opzione donna e la pensione di garanzia per i giovani. Per quanto riguarda i lavori gravosi dell’APE sociale, l’apposita Commissione costituita presso il ministero del Lavoro ha concluso nei giorni scorsi il primo tratto del suo lavoro. È stato approvato un documento che delimita il campo d’azione: superare la sperimentazione dell’APE e allargare la platea dei fruitori.

Il concetto al quale ci si è ispirati è quello di concepire la previdenza anche come strumento di prevenzione per i lavoratori più a rischio. Inoltre, si prevedono interventi a favore di soggetti particolarmente fragili: i lavoratori dell’edilizia, già compresi nell’Ape sociale, per i quali si ritiene di abbassare il numero dei contributi necessari dagli attuali 36 anni a 30. Infine, si prevede anche di eliminare i tre mesi di intervallo attualmente previsti per chi cessa la disoccupazione fino al momento di percepire l’APE: mesi nei quali il disoccupato rimane senza reddito. I lavori della Commissione proseguiranno, concluso il capitolo della individuazione della graduatoria dei lavori più gravosi, con ulteriori approfondimenti che riguardano, ad esempio, la condizione delle donne, gli inidonei, il lavoro notturno, il lavoro autonomo.

Per quanto riguarda la questione della flessibilità per il dopo Quota 100, l’ipotesi del tutto personale che avanziamo è quella di fissare una soglia di ingresso a partire dai 63 anni, unificata con quella dell’APE sociale, e prevedere forme di modesta penalizzazione per ogni anno prima della attuale normativa. La proposta di legge del 2013, Damiano-Baretta-Gnecchi, prevedeva un 2-3% di penalizzazione per ogni anno di anticipo calcolato esclusivamente sulla parte retributiva. Questa formula, rispetto a quando fu presentata otto anni fa, è diventata più leggera per i lavoratori e per i costi: il trascorrere del tempo ha diminuito la parte retributiva delle future pensioni e Quota 100 ha svuotato significativamente il bacino dei lavoratori ad alta contribuzione.

Analoghe proposte di ricalcolo sono state recentemente presentate. Il pacchetto previdenza non può trascurare Opzione Donna e la pensione contributiva di garanzia per i giovani. Per questi ultimi la prima misura da prendere è eliminare l’assurdo vincolo che costringe ad avere un assegno pensionistico che corrisponda almeno a 2,8 volte la pensione minima per poter lasciare il lavoro. Stiamo parlando di 1.400 euro lordi mensili. La domanda è: se l’assegno è tutto contributivo, perché riguarda i giovani, perché quella barriera? Eliminiamola.

* Ex ministro del Lavoro, presidente di Lavoro & Welfare