Il teorema del parchetto

Quando diventi genitore inizi a guardare il mondo con occhi diversi. Prendiamo il parco vicino casa. Un tempo lo utilizzavi per fare jogging, per leggere un buon libro con il plaid steso sull'erba o semplicemente come "taglio strategico" per accorciare l'itinerario casa-lavoro. Quando metti su famiglia le cose cambiano. Nella tua mente mappi tutti i giardinetti nel raggio di dieci chilometri, con annessa catalogazione di giochi a disposizione, eventuale presenza di fontanella e distanza da casa. E soprattutto hai ben chiara una cosa: al parchetto chi pensa di rilassarsi è un illuso. Diventando mamma capisci che è del tutto normale ritrovarsi sulla tastiera del pc una carovana di dinosauri. O rileggere per la sessantesima volta di fila lo stesso libro, che ormai sai a memoria, tipo il proemio dell'Iliade alle medie. Sei consapevole che dopo una notte insonne, se commetti l'ingenuità di guardarti allo specchio in ascensore, ti sentirai addosso venti anni in più di quelli sanciti dalla carta d'identità. Che in fondo alla borsa – da qualche parte – ci sarà sempre un pacchetto di cracker dimenticato, pronto a rompersi e inondare il circondario di briciole. Sei rassegnata al fatto che non c'è niente di più magnetico di una pozzanghera. Sai che ogni giorno è costellato di dubbi e meraviglia. Con il costante timore di non fare o di non essere abbastanza. Con i capelli raccolti frettolosamente a coda, le scarpe da ginnastica ai piedi e sempre troppi pensieri per la testa. Ma poi, alla fine della giornata, lo sguardo cade sul biglietto appeso al frigo con una calamita (contemplato alla stregua di un Picasso): "Tanti auguri alla mamma più bella del mondo", con un incomprensibile scarabocchio a pennarello. E allora capisci che forse la verità è un'altra. A loro andiamo bene così come siamo. Imperfetti.