Un colpo ai pregiudizi

un clandestino (meglio scandire per chi non avesse capito: clan-de-sti-no) salva un bambino imprigionato in auto

Milano, 7 luglio 2018 - Confessiamolo, per una volta: adoriamo i cliché, i luoghi comuni. Perché, semplificando la realtà, ci illudono di poterla afferrare, di comprenderla. E tutto va alla grande finché il ladro fa il ladro, il mendicante fa il mendicante, il cattivo fa il cattivo e il nero fa il nero. Poi, però, succedono le cose. Di fronte alla potenza dei fatti siamo costretti a pensare, e sai che scocciatura. Succede allora di dover pensare quando a Torino un nigeriano si avventa contro il solito bandito armato, nel solito supermercato.

E succede di dover pensare perfino quando a Merate, Lombardia, un clandestino (meglio scandire per chi non avesse capito: clan-de-sti-no) salva un bambino imprigionato in auto. Ma guarda che roba: un neonato che deve la vita a uomo nero rimasto bellamente a casa nostra nonostante i due decreti di espulsione in tasca. Che sfortuna, che rabbia, che disdetta. Perché, dai, non si capisce nemmeno se sia più razzista chi riteneva che uno così al massimo voleva rubare l’auto oppure chi celebra l’atto eroico con imbarazzanti eccessi d’enfasi. Oltre che con un sottile retropensiero: cavolo, è stato proprio bravo, quelli come loro queste cose di solito non le fanno. Con buona pace di quel trombone di Publio Terenzio Afro, e di quel suo «nulla che sia umano mi è estraneo» buttato lì 165 anni prima della nascita di Cristo, quando la maggioranza silenziosa era quella degli schiavi. La realtà, dicevamo. Sarà che la politica ci annoia proprio perché adoriamo la realtà? Di fatto, mentre i politici si scannano nella redditizia battaglia di retroguardia su una questione enorme come quella dell’integrazione, al sottoscritto (che non combatte al fronte, però...) stanno capitando un po’ di cose. Dettagli da riferire per mero dovere di cronaca.

L’altro giorno si è materalizzato a casa un amichetto del figlio, un peruviano. Uno che ai videogiochi batte tutti giocando con una mano sola, e scusate se è poco. Ancora il sottoscritto ha cenato a scuola con un paio di genitori albanesi che da vent’anni si spaccano la schiena dalle nostre parti, e che domani apriranno la mitica fabbrichetta. In proprio. E avanti: nella classe della figlia studia con profitto un ragazzo russo che pare un dio, e si dà molto da fare anche un cinese parecchio sveglio. Per non parlare delle ragazzine velate che girano per i corridoi del liceo, nella sbadata indifferenza degli altri frequentatori. Così, mentre l’Europa (non) discute su come sciogliere il nodo integrazione, le persone normali si integrano da sé. Anche davanti alla PlayStation di casa mia.