Processi mediatici

I magistrati facciano i magistrati, i giornalisti facciano i giornalisti

Milano, 8 febbraio 2019 - I magistrati facciano i magistrati, i giornalisti facciano i giornalisti. Può sembrare una frase fatta e scontata, ma varrebbe la pena di rilanciarne il valore per stabilire un corretto rapporto tra giustizia e informazione. Del tema si è parlato ieri all’Università Statale nel convegno dal titolo “La rappresentazione mediatica dei processi. Profili giuridici e deontologici”, organizzato dal Movimento Forense di Milano e dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia. È stato ricordato il valore del Codice deontologico sottoscritto dieci anni fa dall’Ordine dei giornalisti, dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e da tutte le televisioni nazionali e locali per assicurare una cronaca processuale equilibrata e non spettacolarizzata, evitando che le sentenze vengano scritte negli studi televisivi anziché nelle aule dei tribunali.

Domani se ne discuterà, dalle 17, all’Unione del Commercio di corso Venezia 47, su iniziativa della Libera Associazione Forense e della Fondazione per la sussidiarietà, con magistrati, avvocati e giornalisti che si confronteranno sul tema “Processo penale e mass media”. La degenerazione del nostro tempo sta proprio nella distorta ed enfatica descrizione delle vicende processuali, con la contrapposizione in tv tra innocentisti e colpevolisti, che finisce per condizionare l’esito del processo vero, alterando i delicati equilibri tra accusa e difesa. «La questione è cruciale per almeno due ragioni –spiega l’avvocato Carlo Tremolada, partner dello Studio legale Arata e associati, che modererà i lavori – Anzitutto perché il contenuto e gli esiti della giustizia penale non vengono percepiti dalla collettività per quello che concretamente sono, ma per come appaiono, cioè per come vengono narrati dai mass media. Chi gestisce la comunicazione ha una grande responsabilità, e deve cercare di trasmettere un’idea di quel che avviene nelle aule giudiziarie  il più possibile coincidente con la realtà, consentendo in tal modo il controllo pubblico sull’amministrazione della giustizia. In secondo luogo il tema della “comunicazione” del processo penale spesso finisce per incidere sul rispetto della dignità dell’imputato sottoposto a processo». Tremolada infila il dito nella piaga: spesso una condanna anticipata per via mediatica genera effetti perversi sulla vita delle persone coinvolte che neppure una successiva assoluzione riesce a cancellare.