San Donato, i vigili morti e la pistola fantasma: "Massimo non era un assassino"

La sparatoria al Comando della polizia locale. Un collega: "Il clima era teso"

Il Comando della polizia locale

Il Comando della polizia locale

San Donato (Milano), 17 gennaio 2018 - Proiettili esplosi da una pistola mai trovata sulla scena del delitto, un colpo mortale alla testa che non sembra compatibile con il suicidio, un’arma di ordinanza sparita nel nulla. Sono troppi i dettagli che stanno trasformando un caso di omicidio-suicidio in un mistero tinto di giallo, destinato a trascinare nel vortice la polizia locale di San Donato Milanese. Il 29 giugno la sparatoria mortale all’interno del Comando, dove sono morti l’agente Massimo Schipa (il presunto omicida) e il vicecomandante Massimo Iussa. Sette mesi dopo, la Procura ha allargato il fronte dell’inchiesta. E potrebbe spuntare anche un terzo indagato. Impossibile "archiviare" la sparatoria come un folle gesto di una persona depressa. A raccontare un’altra verità è Gianluca Maritati, amico stretto di Massimo Schipa e collega di lotta sindacale della Uil.

Com’era Schipa?

"Massimo lo conoscevo bene, non era assolutamente fuori di testa. Quello che è accaduto mi ha lasciato sconvolto, era una persona equilibrata e perbene. Non avrebbe mai commesso un gesto così grave, non ci credo che abbia ucciso il collega e poi si sia sparato. Qualcosa è accaduto, forse le indagini ora lo chiariranno".

Com’era il clima all’interno del Comando?

"Molto teso. Massimo ha subito azioni di mobbing, si sentiva vessato. L’ho scritto più volte ai vertici del Comune e l’ho detto anche alla sezione omicidi quando sono stato interrogato. Aveva problemi alla schiena e, nonostante avesse prodotto tutti i certificati medici e chiesto l’esenzione dai turni a piedi, continuavano a fargli fare servizi pesanti. Ricordo una volta in cui Massimo, che era delegato Rsu Uil, aveva indetto un’assemblea ed era stato messo di turno: ad un certo punto ha dovuto abbandonare la riunione per correre su una chiamata. La dice lunga su come era trattato".

Cosa è successo il giorno della sparatoria?

"Massimo era di pattuglia ed era fuori per un servizio. Ma è stato richiamato in sede insieme ai colleghi, nessuno sa per qualche motivo. Sappiamo solo che quel giorno pioveva a dirotto e, nonostante i problemi di salute, era stato destinato a un lungo servizio appiedato sul territorio".

La moglie non crede all’ipotesi dell’omocidio-suicidio?

"La moglie sapeva di che pasta era fatto Massimo, non pensa che abbia potuto compiere un gesto così estremo. Non riesce a capacitarsi della sua morte, Massimo era davvero una brava persona".

Aveva chiesto più volte di essere trasferito?

"Massimo era un bravo agente, era stato richiesto più volte a Milano. Il comandante, però, non aveva mai acconsentito al nulla osta necessario per la mobilità. Ha sempre negato il trasferimento e questo non aveva certo contribuito a distendere i rapporti. Il vicecomandante eseguiva gli ordini, ma era il comandante che decideva".