I giudici: "Il Sistema Sesto c'era ma non per Penati, non ha preso tangenti"

Le motivazioni della sentenza che ha assolto l'ex sindaco della Stalingrado d'Italia ed ex presidente della Provincia: l'impianto accusatorio era basato sulle dichiarazioni degli imprenditori, eppure in quelle dichiarazioni non c'è traccia di mazzette

Filippo Penati il giorno dell'assoluzione

Filippo Penati il giorno dell'assoluzione

Sesto San Giovanni (Milano), 3 marzo 2016 -  Il 'Sistema Sesto' è esistito. Ma non vi è prova che Filippo Penati abbia preso tangenti. E' quanto sostengono i giudici del Tribunale di Monza nella motivazione della sentenza che ha assolto l'ex presidente della Provincia di Milano e altri 10 imputati dall'accusa di corruzione e finanziamento illecito al partito. "Questo processo non ha avuto a oggetto, se non in modo marginale, il cosiddetto 'Sistema Sesto', cioè quel 'sistema' di illecito finanziamento della politica e di mercimonio delle funzioni pubbliche, riferito dagli imprenditori sestesi Piero Di Caterina e Giuseppe Pasini e afferente, a loro dire, i progetti di riqualificazione urbanistica ed edilizia delle aree industriali dismesse Falck e Marelli - scrivono i giudici - Le accuse rivolte in proposito da Di Caterina e Pasini agli amministratori e funzionari pubblici della città di Sesto San Giovanni hanno, infatti, determinato l'ufficio del Pubblico Ministero a esercitare l'azione penale per quei fatti-reato in altri procedimenti, già conclusi con sentenze irrevocabili di proscioglimento per intervenuta prescrizione (con riguardo a Penati, Di Caterina, il suo ex braccio destro Giordano Vimercati e gli uomini delle coop rosse Gianpaolo Salami, Francesco Agnello e Omer Degli Esposti) e di applicazione della pena (con riguardo all'ex assessore sestese Pasquale Di Leva, alla funzionaria Nicoletta Sostaro e all'architetto Marco Magni) o di archiviazione", come per gli imputati di finanziamento illecito al partito giudicati al Tribunale di Milano. "Di tutte quelle vicende sono residuate in questo processo soltanto le accuse di corruzione elevate nei confronti degli stessi Di Caterina e Pasini aventi ad oggetto 'tangenti' pagate all'assessore all'edilizia del Comune di Sesto San Giovanni, Pasquale Di Leva, e al funzionario dell'ufficio tecnico comunale, geometra Nicoletta Sostaro, sino agli anni 2006-2007. Ebbene, con riguardo a dette vicende si può dire che l'istruttoria dibattimentale, a parere del Collegio, ha provato l'esistenza del cosiddetto Sistema Sesto denunciato da Piero Di Caterina, da intendersi come 'luogo di incontro' tra gli interessi di imprenditori spregiudicati, pronti a 'oliare' gli ingranaggi della pubblica amministrazione sestese per realizzare speculazioni immobiliari milionarie". Per i giudici però "è, peraltro, doveroso da subito evidenziare che in questo contesto né Di Caterina né Pasini hanno riferito in dibattimento di avere versato a Filippo Penati 'tangenti' per il compimento di atti a loro favorevoli da parte dello stesso o dell'amministrazione da lui presieduta quale sindaco".

Per il pm monzese Franca Macchia, ricordano i giudici, "il cosiddetto 'Sistema Sesto', nei termini sopra sinteticamente riassunti, è stato l'humus nel quale è germogliato e si è sviluppato il rapporto personale e di 'dare/avere' tra Piero Di Caterina e Filippo Penati, che avrebbe portato quest'ultimo diversi anni dopo, nella sua qualità di presidente della Provincia di Milano, a favorire il suo amico/finanziatore, in rilevanti difficoltà economiche, compiendo atti contrari ai doveri d'ufficio". Ma, sostiene il Tribunale di Monza, "con riguardo a queste vicende, che formano l'unico oggetto delle imputazioni di corruzione contestate in questo procedimento a Filippo Penati, in concorso con gli altri coimputati, Piero Di Caterina ha, però, costantemente e pervicacemente negato che le stesse fossero frutto di un accordo corruttivo tra loro intercorso. Sicché delle due l'una: come enfatizzato da tutte le difese, se la genesi di questo processo è da ravvisare nelle dichiarazioni auto ed etero accusatorie di Di Caterina, pilastro portante dell'intero impianto accusatorio, e se dette dichiarazioni sono credibili, come più volte ribadito dalla Pubblica Accusa, o Di Caterina ha detto il vero e allora quei fatti corruttivi non sussistono o Di Caterina ha mentito e allora le fondamenta del castello accusatorio franano irrimediabilmente". Quindi all'esito dell' istruttoria il Collegio "non ritiene raggiunta la prova dell'ipotesi accusatoria e, cioè, che Filippo Penati, nella sua qualità di Presidente della Provincia di Milano, in relazione alle vicende qui contestate, abbia compiuto in cambio di denaro o altra utilità atti contrari ai doveri d'ufficio per favorire l'imprenditore ed (ex) amico Piero Di Caterina".