Bomi, i fattorini della salute conquistano l’America Latina

«Una volta ci è capitato in Colombia che l’ospedale avesse finito gli stent mentre il paziente era aperto in sala operatoria. Noi abbiamo sempre una persona a disposizione, perciò abbiamo mandato nel minor tempo possibile una macchina che ha portato fin in reparto il prodotto» di Luca Zorloni

Sala operatoria (foto repertorio)

Sala operatoria (foto repertorio)

Vaprio D'Adda (Milano), 22 agosto 2014 - «Una volta ci è capitato in Colombia che l’ospedale avesse finito gli stent (un impianto metallico introdotto negli organi cavi, ndr) mentre il paziente era aperto in sala operatoria. Noi abbiamo sempre una persona a disposizione, perciò abbiamo mandato nel minor tempo possibile una macchina che ha portato fin in reparto il prodotto». Il vicepresidente Marco Ruini prova a spiegare così quello che fanno alla Bomi di Vaprio d’Adda, nel Milanese: logistica per salute, è la definizione ufficiale. Ma, come dimostra l’episodio in Colombia (per la cronaca, il paziente si è salvato), dietro le etichette c’è un mestiere più complesso.

Alla Bomi non maneggiano semplici scatole: trasportano protesi, valvole cardiache, reagenti e strumenti diagnostici, stent, prodotti di oftalmologia, verso ospedali, laboratori di analisi ma anche a casa di pazienti sottoposti a terapie domestiche. Nei magazzini passano i prodotti di 18 dei 25 colossi mondiali della salute. Il quartier generale è a Vaprio, dove il gruppo ha traslocato appena ebbe bisogno di ingrandirsi. Correva l’anno 1985 quando Giorgio Ruini, ancora al timone del gruppo, partecipava alla fondazione dell’azienda che negli anni ha allargato le proprie rotte di consegna su tutto il planisfero. Prima tra tutte l’Europa, abbandonata nel 2004 e ora tornata nel mirino del gruppo, con la riapertura della sede «in Olanda quest’anno — spiega Marco Ruini, figlio del fondatore — e a gennaio in Francia».

Ma l'intuizione di Ruini senior è stata quella di mettere radici in Sudamerica: Brasile, Messico, Perù, Cile, Colombia, Paesi in cui Bomi oggi detiene un primato (in Brasile il 45% delle quote di mercato). «Mio padre capì che in Europa il welfare era arrivato a saturazione — spiega il braccio destro — mentre in questi Paesi l’economia è in grande crescita e c’è un sistema sanitario misto pubblico-privato, che è poi quello verso cui sta andando anche Obama». Tanto che Bomi sta studiando le carte per entrare nel mercato degli Stati Uniti. Cina, Russia e Turchia sono tra le ultime conquiste del gruppo, premiato dalla società di revisione Ria Grant Thornton proprio per l’internazionalizzazione. Dall’estero arriva la grossa fetta del fatturato, il 70% dei 67 milioni di euro incassati nel 2013 (+5% rispetto all’anno precedente).

I dipendenti sono circa 800: non semplici fattorini, ma professionisti capaci di leggere i parametri di un dispositivo medico per trasferirlo nelle migliori condizioni in corsia o di saper dialogare con un’infermiera quando consegnano la terapia porta a porta. E i furgoni «ambulanze del prodotto», aggiunge il vicepresidente. Il cervellone informatico che orchestra le spedizioni gestisce calendari, orari e indirizzi di deposito. Ma non solo: se il farmaco va a casa di un paziente, il software assegna sempre lo stesso fattorino. «Così si crea un clima di fiducia», spiega Ruini. E i risultati, conti alla mano, sono di una precisione vicina al 100%.

luca.zorloni@ilgiorno.net