Nibionno, 28 ottobre 2013 - Dovranno comparire venerdì in udienza preliminare, di fronte alla Maidstone Magistrates Court, i quattro lituani accusati dellomicidio di Joele Leotta, il giovane lecchese pestato a morte il 20 ottobre a Maidstone, nel Kent, Inghilterra del sud-est. L’udienza che si doveva tenere ieri è stata rinviata per un disguido. Gli arrestati non intendono avanzare richiesta di scarcerazione su cauzione. Resta ancora da fissare la data di inizio del processo.

Nel frattempo ha fatto ritorno a casa Alex, l’amico fraterno di Joele, scampato alla furia cieca degli aggressori. Ancora sotto choc, è rincuorato dai genitori. Suo padre ci racconta i terribili momenti che hanno fatto seguito alla notizia dell’aggressione.

Sono stati otto giorni terribili, ma adesso Luca Galbiati, imprenditore di 51 anni di Rogeno, ha potuto finalmente riportarsi a casa suo figlio Alex, il 19enne che domenica scorsa a Maidstone, nel Kent, è miracolosamente scampato alla furia omicida dei quattro lituani, i quali tuttavia non hanno lasciato scampo al suo amico fraterno Joele, letteralmente ammazzato di botte. È toccato proprio al papà di Alex comunicare la notizia ai genitori del giovane massacrato.

Chi vi ha avvisato di quello che era successo?
«È stato mio figlio Alex, mi ha telefonato lui. “Papi hanno ammazzato Jo”, mi ha detto. È stato un pugno nello stomaco, sapevo che avrei dovuto riferirlo io a Ivan e Patrizia, il papà e la mamma di Joele, perché non sarebbe stato giusto apprendere della tragedia da estranei, ma non sapevo come. Alla fine mi sono fatto violenza e sono andato da loro. Non volevano crederci, non potevano crederci, insieme allora ci siamo recati dai carabinieri della stazione di Costa Masnaga per chiedere se sapessero qualcosa o avessero ricevuto qualche nota ufficiale, ma anche loro non sapevano nulla. Si pensava a uno scherzo idiota di due adolescenti o in un equivoco, speravamo tutti fosse così, invece...»

Che notizie avete ricevuto a Maidstone?
«Nulla di più di quanto già non abbiate già scritto. Si sono trovati al posto sbagliato nel momento sbagliato. Poteva succedere lì, come altrove, invece è capitato proprio a loro. Quei balordi erano ubriachi e forse drogati e se la sono presa con le prime persone che hanno trovato, un evento unico che speriamo non si ripeta più».

Come hanno reagito i genitori di Joele?
«Hanno dimostrato e continuano a dimostrare una forza d’animo e una dignità incredibili. Sono delle persone eccezionali. Pensi che sono loro che cercano di consolare noi, sostengono che ormai Joele non c’è più, che non si può più fare nulla per lui e quindi bisogna concentrarsi su Alex perché almeno lui si riprenda presto».

E Alex come sta?
«Fisicamente bene, ma è molto scosso. Non deve essere facile per lui. Adesso è attorniato dagli amici e da noi familiari e si sente un poco meglio».

Da quanto si conoscevano Alex e Joele?
«Dall’asilo, avevano tre anni. Erano più che amici, erano fratelli».

Chi ha proposto di andare in Inghilterra?
«L’idea inizialmente è stata di Joele, Alex senza di lui non sarebbe mai partito. Joele desiderava prendere in mano la sua vita, assicurarsi un lavoro e un futuro che qui nessuno sembrava in grado di offrirgli. Alex terminate le superiori desiderava piuttosto affrontare un’esperienza diversa anche per imparare meglio l’inglese. Noi tutti eravamo contenti della loro decisione. Tramite internet erano riusciti a trovare un impiego ancora prima di lasciare l’Italia, come camerieri presso un ristorante gestito da italiani che sono stati gentilissimi e hanno trattato Alex come un figlio dopo l’aggressione, perché lo hanno vestito, nutrito e protetto».