Lecco, 15 luglio 2013 - «Se il corpo di Lorenzo è riemerso, va portato al memorial Puchoz. Credo sia una questione di pietà umana e cristiana per chi è credente». La voce di Agostino Da Polenza rimbalza dalla zona del K2 quando in Italia sono le quattro del pomeriggio. All’inizio è un balbettio indistinto nel quale si fatica a seguire il filo logico, poi la linea del satellitare si stabilizza ridando fluidità al discorso e senso alle parole. Parole che non possono essere più chiare nonostante le migliaia di chilometri di distanza.


Da Polenza ribadisce la sua volontà di cercare il corpo di Lorenzo Mazzoleni, il Ragno di Lecco morto il 29 luglio 1996 sulla via del ritorno dopo aver conquistato al vetta del K2. Il suo corpo fu ritrovato soltanto nei giorni successivi da Giampietro Verza, che perlustrò da solo e anche di notte la cima della montagna per cercarne traccia. Il corpo giaceva su un seracco a circa 8.000 metri di quota, sulla linea della via Cesen. Fu impossibile recuperarlo. Di quella spedizione Da Polenza era il timoniere, oggi è ancora laggiù tra i bastioni del Karakorum alla guida del Comitato EvK2Cnr che, proprio in questi giorni si sta occupando di ricerche scientifiche nella zona del K2.

«Quel seracco è crollato e in questi giorni si trovano tende e resti umani sparsi sulla neve. Sono convinto che il corpo di Lorenzo sia sceso più in basso e se è così, penso che sia doveroso riportarlo al memoria come è accaduto per Renato Casarotto e a tutti gli alpinisti deceduti. Ad agosto i miei amici qui del soccorso Concordia faranno delle perlustrazioni».

La mamma ha già fatto sapere di essere contraria, che il suo amato Lorenzo debba restare «in quella culla di ghiaccio». A ottantuno anni la signora Dina ha parlato «di una ferita riaperta». «Anche per noi tutti è stato un dolore - ricorda Da Polenza - perché Lorenzo era un amico e quando sono qui, non posso fare a meno di pensare a lui. La signora Dina è donna di grande fede, che è dispiaciuta perché non riuscimmo a portare a casa il corpo. Allora non c’erano le condizioni ma oggi le cose sono cambiate».

andrea.morleo@ilgiorno.net