Lecco, 14 luglio 2013 - «Il mio Lorenzo non si tocca, deve rimanere là perché quella è la sua culla di ghiaccio». La ferita si è riaperta all’improvviso e ancora a luglio, quasi fosse un brutto scherzo del destino. Mamma Dina è a casa con le gambe che fanno male perché «a ottantuno anni non sono più in forma come prima». Ma vive ancora sola, orgogliosa della sua indipendenza nell’appartamento di via Veneto (quartiere Santo Stefano) «anche se un amico ogni giorno mi porta la spesa». È quell’amico che in mattina la chiama e la informa che sul giornale parlano del «suo» Lorenzo. Come? Diciassette anni dopo? «Così gli ho chiesto di portarmi a casa il giornale e ho scoperto quello che stava succedendo». Le gambe fanno male ma la mente è lucidissima.

«È stato un fulmine a ciel sereno che mi ha fatto piangere tanto, da sola. Avrei preferito essere avvisata prima, in queste cose ci vuole sensibilità». Sensibilità per una mamma che ha visto partire quel suo ragazzo («il maschio tanto desiderato dopo due femmine») forte, biondo e dagli occhi dolci per scalare una montagna che aveva sempre sognato. E non l’ha più rivisto, è rimasto sepolto laggiù sotto i ghiacchi e le nevi perenni del K2, la seconda vetta più alta del mondo «e lì deve rimanere perché lui lo diceva sempre che se fosse morto in motagna, voleva rimanere lì».

Il dolore riemerge dalle viscere «e poi nel mese di luglio è anche peggio, s’à com’è, anche allora era luglio». Anche allora una telefonata all’improvviso, da migliaia di chilometri di distanza quando la spedizione era già sulla via del ritorno dopo aver violato la cima, quando tutto sembrava dover lasciare spazio alla gioia, alla festa. E invece no, giorni di dolore e lutto. E di amarezza che è rimasta sopita ma oggi ritorna a galla.

«Non dimentico che Lorenzo l’hanno lasciato laggiù, solo i portatori pakistani sono ritornati dove era caduto ma erano già passati quindici giorni e ormai il corpo era stato coperto dalle nevicate». La ferita si riapre in un altro caldo pomeriggio d’estate. «Mio marito quella cosa lì non l’ha mai perdonata: è morto con questo dispiacere. Io sono diversa: ho perdonato, ma non dimentico».
Il capo spedizione di allora, Agostino Da Polenza, ha deciso di rimettersi alla ricerca del corpo di Lorenzo forse riemerso dai ghiacciai dopo tutti questi anni. Lui dice di volerlo riportare al memorial Puchoz che ospita tutte le vittime del K2. Per mamma Dina non ci sono dubbi: quella è la sua tomba e lì deve rimanere il suo Lorenzo. E il cuore di una mamma (che ha già sofferto) va ascoltato.

andrea.morleo@ilgiorno.net