Il mio amico Gianluca: Vialli, la malattia e quel sogno rimasto nel cassetto

La testimonianza di chi ha conosciuto il campione di Cremona

Gianluca Vialli

Gianluca Vialli

Quando una mattina d'autunno del 2017 incrociai Gianluca Vialli all'aeroporto di Linate quasi non lo riconobbi. Anzi, per qualche istante mi domandai: "E' davvero lui? Può essere?"- Dimagrito, testa china, avvolto in una coperta e, soprattutto seduto su una carrozzina. Da non credere. Uno come lui, una roccia che mai si sarebbe sgretolata, sembrava fragilissimo. Un'altra persona. Mi avvicinai per salutarlo... "Ciao Gianluca... cosa è successo?". Lui mi guardò, mi sorrise, e mi rispose quasi alzando gli occhi al cielo: "Nulla, piccoli acciacchi". Mica tanto piccoli, pensai io. Per farsi spingere su una sedia a rotelle proprio bene non doveva stare. Ma con lui avevo imparato negli anni che non bisognava mai insistere. Se voleva, ti parlava. Altrimenti ti "respingeva". A modo suo. delicatamente con una smorfia mascherata da un sorriso.

Conoscevo Gianluca Vialli da molti anni. Ero stato un suo tifoso, poi per motivi professionali lo avevo cercato più di una volta agli inizi del nuovo millennio. Lui era stato allenatore prima il Chelsea e poi il Watford, in Italia tornava raramente, ma dal 2003 in poi i contatti divennero frequenti anche perché seguivo tutti gli eventi della Fondazione che lui aveva creato con Massimo Mauro, e che aveva l'obiettivo di raccogliere denaro  da destinare alla prevenzione e la cura del cancro e alla ricerca medico scientifica sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica (Sla). Ci si vedeva spesso sui campi di golf fra Torino e Milano, e si parlava amabilmente di tutto. Pallone e non solo. Quando invitava ospiti illustri, da Platini a Shevchenko, io trovavo più interessante parlare con lui. Ovvio, c'era anche un "obiettivo" più o meno dichiarato: capire se prima o poi sarebbe tornato alla Juventus come allenatore. Vero, nel 2004 era stato scelto Fabio Capello prima che scoppiasse Calciopoli, ma il nome di Gianluca continuava a girare soprattutto fra i tifosi che avrebbero voluto in panchina una vera bandieraUn'icona. Un simbolo. E "StradiVialli" lo era. Provai più volte a "estorcere" una sua dichiarazione che aprisse la speranza, e lui quando mi incontrava era già preparato: "No, non parliamo di Juventus". Salvo poi, a microfoni spenti, dirmi: "Ma tu sei convinto che alla Juventus mi vogliano davvero?"- E giù risate. 

La telenovela è andata avanti per un bel po', Un paio d'anni dopo calciopoli ci incontrammo a Cremona per un evento benefico. Il problema è che quel giorno non ero l'unico a volergli chiedere della Juventus perché tutti i colleghi erano lì per quello. Insomma, Gianluca Vialli allenatore in "pectore" dei bianconeri. Suo malgrado. Ma il giochino gli piaceva. Mi strizzava l'occhio e mi prometteva: "Dai, se vado alla Juventus ti chiamo e faccio intervista con te". Ci credevo poco. Forse lui molto di più. In fondo ci voleva poco a capire che era quello il suo sogno nel cassetto. Mica gli bastavano le partitelle sul campo del Circolo della Stampa di Torino con Massimo Mauro e il figlio dell'avvocato Grande Stevens. Però fui io a telefonargli nell'estate del 2009. Squillo a vuoto sul cellulare con numero inglese, lo beccai su quello italiano. Lui rispondeva sempre col solito "Hello!". Ed io: "Ciao Gianluca, promesso, non ti chiedo di Juventus. Ma di una cosa più importante...". Un secondo di silenzio, forse non era convinto, poi mi disse: "Ok, spiegami..". Beh, fu complicato: stavo scrivendo un libro-inchiesta dal titolo "L'ultima partita". Roba di morti improvvise e misteriose nel mondo del calcio, di inchieste giudiziarie, di doping. Avevo sentito tante voci, testimonianze più o meno sconcertanti: dagli ex calciatori pentiti, alle vedove e agli orfani di giocatori morti precocemente negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. E soprattutto avevo intervistato il pm Raffaele Guariniello, l'uomo che aveva lanciato pesanti accuse di doping alla Juventus di cui Vialli era stato un simbolo. L'idea era semplice: "Gianluca, non ti chiedo di replicare a chi ha voluto portarvi a processo nel 1998, mi piacerebbe però che fossi tu a scrivere l'introduzione del mio libro. La vera prefazione la farà il direttore Jacobelli". "Ci penso e poi ti dico", la sua risposta. Aspettai un paio di settimane e poi lo richiamai. Lui senza esitazioni mi disse: "Va bene, faccio l'introduzione. Non per difendermi dalle accuse ma per ricordare a tutti che la Fondazione mia e di Mauro è in prima linea per combattere le malattie". Fu di parola Gianluca, in pochi giorni mi mandò due "cartelle" ricche di significati. "Sono un uomo estremamente fortunato.. - esordì  -  la mia vita è stata un susseguirsi di emozioni, sorprese, sfide vinte e perse, grandi soddisfazioni e profonde delusioni". Dopo aver spiegato la sua missione, ovvero trovare la verità sulla Sla e aiutare i malati, l'affondo finale: "Troppo spesso giornalisti e magistrati, travestiti da ricercatori scientifici, hanno provato a spiegarne le cause indagando prima e accusando poi il rapporto tra calcio e medicina, creando così un inutile e controproducente clima di caccia alle streghe. La nostra filosofia è completamente diversa... il nostro compito è solo di trovare le risorse..."

A modo suo, in maniera elegante, Gianluca si era tolto qualche sassolino dalle scarpe senza però perdere di vista l'obiettivo principale della Fondazione. Di me si fidava ed io mi fidavo di lui. E infatti ogni telefonata diventava un piacevolissimo modo per parlare di calcio a trecentosessanta gradi, cosa che tra l'altro già faceva benissimo sugli schermi di Sky. Mai, però, dopo un anno in cui ci si era sentiti solo per gli auguri in occasione delle feste comandate, mi sarei aspettato di rivederlo in carrozzina. 

E qui torniamo a quella mattina del 2017. Intuiì che per la prima volta Gianluca mi aveva detto una comprensibile bugia. Provai a risentirlo nel marzo del 2018, lui mi liquidò velocemente dicendomi: "Sono in Marocco per un torneo di golf, ti richiamo....". Non so se fosse vero, di sicuro in quelle settimane ebbi conferma di quel che temevo: "Ha un brutto male". Peggio: "Ha un tumore al pancreas". Fonti affidabilissime. Non ci fu la corsa allo scoop. Tutti sapevamo ma facevamo finta di non sapere. E anche a telefono era difficile parlarsi. Io preferivo il whatsapp... più sbrigativo e meno imbarazzante. Finchè nel novembre del 2018 Gianluca aprì lo scrigno dei segreti più intimi rivelando a tutti la malattia in un'intervista al Corriere della Sera. Per lui fu una liberazione, per tutti i giornalisti pure. Anche se sapevo che altre interviste ufficiali Vialli non le avrebbe rilasciate a stretto giro di posta. Gli mandai un messaggio di conforto, lui mi rispose dieci secondi dopo: "Grazie Giulio per le belle parole. Io sto meglio. Andrà tutto bene". 

Ci siamo rivisti prima del Natale del 2018, era appena stato da Fazio su Rai Tre e gli feci i complimenti per la serenità con cui aveva affrontato l'argomento. lui sorrise e mi disse queste testuali parole: "Penso positivo, non costa niente e fa bene alla salute! Naturalmente non è sempre così facile ma mi sto impegnando molto. E' l'unica cosa su cui posso avere controllo, il resto è nelle mani del Signore". Parole che mi squarciarono il cuore. Ci salutammo col solito sorriso, quello non l'aveva mai perso. 

Ci ritrovammo nell'estate del 2019 nella sua Cremona. Lui sempre ironico anche di fronte alla malattia bastarda: “Il tumore si stuferà e se ne andrà”, disse ad una cena di beneficenza. E ancora: “Non considero questa situazione come una battaglia. Non puoi lottare contro una cosa che è più forte di te. Vivo questa cosa come fosse un viaggio da fare in compagnia di una persona indesiderata che prima o poi spero se ne vada”. Non ci sentimmo per un po', ma nell'estate del 2020 finalmente trovammo il tempo per fare un'altra lunga chiacchierata. Non un'intervista ufficiale. Cominciò a tirar fuori discorsi strani, a sentirsi addosso quell'angoscia fino ad allora sconosciuta, quella sensazione di non ritorno, di fiato che manca, di vuoto allo stomaco che ti assale quando ti svegli di soprassalto da un brutto incubo. "Ho avuto paura, anzi, ho paura. Leggo tanto, mi aggrappo alla fede, forse è davvero quello l’unico momento in cui il riassunto di una vita trova il suo senso. Come quando si sta per morire e davanti agli occhi scorre l’esistenza....". "Ma dai Gianluca, perché questi discorsi? - gli dissi - Forza, sei un leone...". "Ma certo Giulio, io voglio vivere ancora. Soprattutto per mia moglie, le mie figlie, i miei cari. E non voglio che mia madre e mio padre piangano un loro figlio. Mentre sorrido ricordando i momenti felici, subito dopo penso che sto per perdere tutto. Che non rivedrò più mia moglie. Non accompagnerò all’altare le ragazze...". Mi si gelò il sangue. Mai Gianluca si era aperto così. Poi per farmi riprendere mi prese in giro: "E poi scusami, come farò con la Juventus? Eri sicuro che un giorno l'avrei allenata ma la vedo dura...". Riuscì a strapparmi un mezzo sorriso.

Nel 2021 ci siamo parlati poco, ma vedendo il suo volto felice dopo la vittoria agli Europei ero convinto che il leone avesse ancora tanta forza per lottare. Un'illusione. L'ospite indesiderato era riapparso. Ancor più minaccioso. Notizie e tam tam incontrollabili, e quelle rare apparizioni televisive dove sembrava che la luce si fosse già spenta. Fino all'intervista da brividi concessa ad Alessandro Cattelan nel marzo del 2022 dove la disperazione di Vialli emergeva in ogni parola.

A fine primavera decido di scrivergli. Alla domanda "Come va bomber?", lui mi sorprende ancora. "Bene, fra un po' vado in vacanza nella tua Puglia. Faccio un bel giro". Lo chiamo immediatamente, lui sghignazza e mi conferma che a maggio farà un bel tour, prima degli impegni di giugno con la nazionale. Provo a consigliargli qualche "location", ma lui risponde deciso: "Già tutto organizzato. Vado prima nel Salento, sullo Jonio ma pure sull'Adriatico. Poi voglio vedere Matera e quindi vado a salutare degli amici in costiera amalfitana". Bene, allora divertiti. E si è divertito, eccome. Sulle spiagge di Gallipoli, al ristorante del lido Sottovento della Baia Verde con un pranzetto a base di tagliolini al nero con ragù di seppia e frittura di calamari e gamberi. E poi Otranto, Bari e la Basilica di San Nicola, i Sassi di Matera. Come se fosse un ultima, lunghissima vacanza con amici e familiari da godersi fino all'ultimo istante. Ad ogni messaggio mi rispondeva col pollice alzato. "Va tutto bene". Così anche il 9 luglio, giorno del suo cinquantottesimo compleanno. E' stata l'ultima volta in cui ci siamo sentiti prima che la situazione clinica precipitasse. Ma ho sempre sperato che ce la facesse.

Perciò oggi la scomparsa di un uomo coraggioso come lui mi sembra ancora più ingiusta e insopportabile. Il coraggio se uno non ce l'ha, non se lo può dare. E, di manzoniano coraggio, Gianluca ne ha avuto da vendere in questi cinque anni durante i quali  ha combattuto contro il cancro con tutta la forza che aveva in corpo, lui, che in questi cinque anni di dolore, di lotta, di sofferenza, di speranza, ci ha insegnato tante cose, in ogni momento. Perché, si sa, gli uomini si giudicano anche da ciò che dicono, ma, soprattutto, da ciò che fanno. Bisogna rimarcarlo oggi, in morte di Vialli, uomo vero, grande calciatore, grande allenatore, grande dirigente, grande combattente anche fuori dal campo, come abbiamo imparato a conoscerlo dal novembre 2018, quando annunciò  al mondo di essere stato colpito a tradimento dal tumore al pancreas. Ha scritto Erich Fromm: "Morire è tremendo, ma l'idea di morire senza avere vissuto è insopportabile". Certo, Gianluca i suoi primi cinquant'anni li ha vissuti. Bene. Troppo pochi però. Perché la favola si è interrotta quando era sul più bello, quando pensava solo alla sua famiglia, ai suoi affetti, a tutto ciò che per motivi professionali aveva dovuto tralasciare negli anni. 

Insopportabimente ingiusta è la scomparsa di questo uomo di 58 anni, che ha giocato la partita contro il male con tutta la grinta, tutta l'energia, tutto il carattere che  metteva quando andava in campo. Le lacrime di queste ore sono anche le lacrime di chi, in questi cinque anni, pur non conoscendolo personalmente, ha condiviso le sue sofferenze, i suoi messaggi, i suoi ritorni, la sua speranza, diventata la speranza di tutti. E svanita in una triste giornata d'inverno. Ciao Gianluca. Conoscerti è stato un piacere. Anzi, un onore.