Codogno, un anno fa la prima zona rossa d’Italia: "Quei giorni con la paura di respirare"

Il farmacista Maestri, nominato Cavaliere: molti temevano che l’aria fosse infetta

Giuseppe Maestri, 51 anni, è stato nominato Cavaliere al merito della Repubblica

Giuseppe Maestri, 51 anni, è stato nominato Cavaliere al merito della Repubblica

Codogno (Lodi), 23 febbraio 2021 - Ogni giorno ha fatto la spola tra Piacenza e Codogno. Così per mesi, nonostante la fatica e la paura di poter entrare in contatto con il Covid. Giuseppe Maestri, 51 anni, socio titolare della farmacia Navilli in piazza XX Settembre a Codogno, non ha mai fatto mancare nulla ai cittadini che si recavano in farmacia anche solo per trovare un po’ di conforto dopo la scoperta del paziente 1 e la decisione scattata il 23 febbraio 2020, esattamente un anno fa, di istituire a Codogno e in altri dieci Comuni del territorio la prima zona rossa del mondo occidentale, la seconda dopo quella di Wuhan in Cina, con l’arrivo dei militari a presidiare i confini, le strade deserte con solo le ambulanze in giro. In quei giorni drammatici la sua farmacia e quelle degli altri colleghi della zona sono rimaste gli unici riferimenti sanitari a disposizione dei cittadini quando l’ospedale è stato isolato per il virus e man mano che tanti ambulatori di medicina generale chiudevano perché i medici si ammalavano e morivano. Una lavoro prezioso quello svolto da Maestri in quei giorni, notato anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che a giugno scorso lo ha nominato Cavaliere al merito della Repubblica, insieme a tanti altri “eroi“ dell’emergenza che ha travolto il nostro Paese.

Dottor Maestri, un anno fa scattava la zona rossa di Codogno. Cosa ricorda? "Le persone avevano quasi paura di respirare l’aria, pensavano fosse infetta. Sono stati giorni tragici. La farmacia, poi, trasformata in presidio con la chiusura dell’ospedale di Codogno. Siamo stati presi d’assalto in quei primi giorni. Eravamo davanti a una situazione inedita e veramente difficile. Le persone venivano da noi anche solo per avere delle rassicurazioni su cosa fare e come comportarsi".

Lei ha mai avuto paura? "La paura è normale. Ma non ho mai pensato di non andare in farmacia. Non lo avrei mai fatto, per spirito di collaborazione. Certo ero un po’ preoccupato perché ho dei figli, ma da subito ci siamo protetti e messi nella situazione di non rischiare".

Codogno, scelta città-simbolo della pandemia, ha resistito all’impatto del virus. Cosa ha inciso secondo lei? "Ha funzionato il coordinamento fra noi, le istituzioni, il sindaco, gli assessori, le autorità sanitarie e gli stessi medici di base. La comunità, in tutti i suoi aspetti, ha dimostrato solidarietà e attenzione verso il prossimo".

Com’è oggi la situazione? "Nei volti nascosti dalla mascherine di tanti cittadini vedo oggi un po’ di stanchezza. Il peso psicologico di tutta questa vicenda, che non sembra finire mai, è ben presente nella testa dei codognesi. Quei momenti resteranno per sempre nella nostra mente. Solo noi a Codogno sappiamo cosa è accaduto in quei giorni".

In che senso? "Nelle prime due settimane, con la città isolata dal resto del mondo, abbiamo vissuto una sensazione claustrofobica. Abbiamo vissuto in prima persone cose che fino a quel momento avevamo visto solo in televisione con i collegamenti dalla lontana Wuhan, in Cina".

Come è cambiata la vostra attività con la pandemia? "Il rapporto con il cliente è diverso. In quei giorni soprattutto abbiamo effettuato decine di consegne a domicilio. Lasciavamo anche le bombole sul pianerettolo, senza entrare e cercando di fare tutto quello che in quel momento un farmacista potesse fare: aiutare chi ne aveva bisogno".