Bernareggio (Monza), 10 febbraio 2014 - Sconvolto, deluso, preoccupato. Scuote la testa il sindaco Emilio Biella, non si dà pace per quella condanna a 18 di reclusione comminata in primo grado a Moustafa Hashouani, il marocchino di 46 anni che la sera del 19 gennaio 2013 ha ucciso a coltellate, nella casa di Bernareggio, l’ex compagna Antonia Stanghellini, 46 anni, madre di tre figli. Femminicidio, tragedia della gelosia, omicidio volontario aggravato. Il sostituto procuratore monzese Emma Gambardella aveva chiesto l’ergastolo. «Questa sentenza mi ha lasciato allibito, a bocca aperta.

Tra sconti di pena, indulti e altri provvedimenti simili, rischiamo di ritrovarcelo in paese tra pochi anni. Sarebbe sconvolgente per tutti, per la famiglia della povera vittima e per la comunità bernareggese», spiega Biella, intenzionato a impugnare la sentenza d’accordo con il legale degli Stanghellini: «Lo farò perchè attualmente sono il tutore dei due figli minorenni. Al di là delle terminologie giuridiche, la prima cosa che ho pensato è quella di sostenere un ricorso: la sostanza è che non posso accettare che un delitto così efferato non venga punito con il massimo della pena».

Un anno dopo il paese non dimentica: il ricordo pubblico durante la Marcia della pace, il corteo per le vie cittadine nell’anniversario dell’omicidio. E poi la vicinanza agli orfani, i piccoli o grandi gesti di solidarietà della parrocchia e delle associazioni: «Come potremmo dimenticare un dramma del genere? Seguendo costantemente i due figli minori, ora in affido, mi domando spesso cosa possa avere spinto quell’uomo a fare quello che ha fatto».

Già nei giorni successivi all’arresto Hashouani si dichiarava pentito, dicendo di amare ancora la donna che aveva ucciso. Pur ammettendo la propria responsabilità giurava di non ricordare nulla di quei cinque fendenti inferti in cucina, al termine dell’ennesima lite, mentre i due figli di 12 e 16 anni si trovavano fuori casa, a passare il pomeriggio da amici. La primogenita di Stanghellini, studentessa universitaria di 20 anni, avuta dal precedente matrimonio con un italiano, era in Spagna per il progetto Erasmus.

Antonia e Moustafa si erano conosciuti nel 1992, nella fabbrica di Cavenago dove la donna ha lavorato fino all’ultimo come operaia. Una relazione segnata dalla violenza, con almeno tre denunce presentate ai carabinieri, poi ritirate. Lui la picchiava accecato dalla gelosia. I genitori di Antonia impauriti, le notti passate accanto al telefono in attesa di una richiesta di aiuto, immaginando il prossimo pestaggio. Lei, stremata, l’aveva allontanato dall’abitazione di via Monte Grappa, un condominio alle spalle del centro. Ma lui tornava, entrava e usciva, aveva conservato le chiavi con la scusa di dover incontrare i figli.

Lei lavorava, lui era disoccupato. Quella sera aveva l’ossessione che l’ex compagna si stesse preparando per un appuntamento galante. Nuova lite, altre urla. Sempre più forti e agghiaccianti, tanto da convincere i vicini a chiamare i carabinieri. Che entrando nellíappartamento trovarono la donna in un lago di sangue. Antonia aveva cercato di difendersi. L’omicida intanto era sgusciato dal pianerottolo, diretto in caserma per costituirsi.