Venti governi del mondo "leggono" telefoni e pc dei giornalisti grazie a un software-spia

Dall'Ungheria al Marocco, dall'India al Messico, il trojan israeliano Pegasus controlla anche Cnn, Reuters, Le Monde, Guardian e molti attivisti dei diritti umani

Una foto di smartphone controllati da Pegasus diffusa dall'inchiesta di 12 testate

Una foto di smartphone controllati da Pegasus diffusa dall'inchiesta di 12 testate

Parigi - Un software spia contro la libertà di informazione. “La democrazia globale è sotto attacco cibernetico”: lo denunciano i giornalisti di Forbidden Stories, un’organizzazione francese senza scopo di lucro che lancia l’allarme sull’uso da parte di almeno una ventina di governi del mondo di un software con cui “spiare” gli smartphone di giornalisti, attivisti e difensori dei diritti umani. Si tratta del programma di spionaggio “Pegasus“, prodotto dall’azienda israeliana Nso, uno spyware che secondo l’azienda viene venduto ai servizi di intelligence e alle forze armate degli Stati per contrastare le reti del terrorismo internazionale ma che in realtà verrebbe impiegato per tenere sotto controllo anche dissidenti e giornalisti d’inchiesta.

 L’inchiesta, cui hanno aderito 80 giornalisti internazionali, è iniziata quando fonti anonime hanno fatto pervenire a Forbidden Stories una lista di 50.000 numeri di telefono raccolti da Pegasus. Una volta verificata anche grazie alla collaborazione di Amnesty International, questa lista ha permesso di scoprire che almeno 180 di questi numeri appartengono a giornalisti, attivisti e difensori dei diritti umani in Paesi guidati da regimi autoritari, come Arabia Saudita e Azerbaigian, che democratici, come India e Messico. All’inchiesta internazionale hanno aderito una dozzina di testate internazionali tra cui il britannico Guardian e il francese Le Monde, che da ieri stanno rilanciando report che puntano il dito contro almeno una ventina di Paesi tra cui figurano Ungheria, Arabia Saudita, Messico, Marocco, Azerbaijan, India, Kazakistan, Emirati Arabi Uniti, Ruanda e Bahrein.

Tra i giornalisti tenuti sotto cybersorveglianza, ci sono sia noti reporter d’inchiesta locali che cronisti di testate internazionali tra cui il Financial Times, l’emittente Cnn, il New York Times, France 24, Economist, Associated Press e Reuters. Il meccanismo di spionaggio è semplice: sul telefono dell’interessato arriva un pacchetto di dati che permette di installare lo spyware all’insaputa del proprietario. Da quel momento, tramite il software, è possibile “rubare” numeri di telefono, messaggi, foto e video. Pegasus dà anche la possibilità di attivare a distanza la telecamera e il microfono dell’apparecchio. Lo smartphone diventa insomma una fonte di informazioni con cui spiare il lavoro e la vita privata e di relazioni di quella persona. 

Tra questi figura Umar Khalid, leader indiano della Democratic Students’ Union in carcere dallo scorso anno. Nel corso del processo, l’accusa ha presentato documenti che erano nel telefono personale dell’imputato senza spiegare in che modo vi fosse entrata in possesso. Dall’inchiesta emerge che sono stati tenuti sotto sorveglianza anche i famigliari e i colleghi di Jamal Khashoggi, il giornalista ucciso all’interno dell’ambasciata saudita di Istanbul nel 2018. E’ stato spiato per ben tre anni invece il telefono di Khadija Ismayilova, una delle più importanti reporter dell’Azerbaigian per le sue inchieste atte a rivelare corruzioni e abusi del presidente Ilham Aliyev.

Il governo di Baku è accusato di aver messo sotto controllo almeno 48 cronisti. Ismayilova ha già scontato 18 mesi di reclusione e attualmente vive in esilio in Turchia, e quando gli analisti di Forbidden Stories le hanno comunicato che, nonostante abbia lasciato il suo Paese, le autorità continuavano a controllarla attraverso il suo smartphone, ha commentato: “Mi sento in colpa per i messaggi che ho inviato e per le fonti che mi hanno inviato informazioni, pensando che i sistemi di messaggistica criptata fossero sufficienti (a tutelarci). E’ stata colpita la mia famiglia, le mie fonti e tutte quelle persone che mi hanno confidato i loro segreti”. Spicca poi la presenza nella lista di Pegasus del numero di Cecilio Pineda Birto, giornalista messicano assassinato nel 2017.

Il suo smartphone non è mai stato ritrovato e quindi non è stato possibile confermare la presenza dello spyware, tuttavia sussiste il sospetto che il mandante del suo omicidio lo abbia spiato per scoprire a quale indirizzo inviare il sicario. Il Messico è in cima alla classifica per numeri posti sotto controllo - 15.000 sui 50.000 totali. In Europa, è accusata l’Ungheria di Viktor Orban di aver usato Pegasus per controllare i giornalisti investigativi, sebbene il governo abbia smentito. Infine, c’è il Marocco con 10.000 numeri in lista tra cui compaiono i nomi di 38 reporter. Il caso del noto giornalista d’inchiesta Omar Radi ha permesso ad Amnesty international nel 2019 di denunciare per la prima volta l’uso da parte dei governi di Pegasus. Radi, mesi dopo quel report, è stato arrestato e si trova in carcere con l’accusa di aver minato la sicurezza nazionale e violenza sessuale.

Forti le reazioni in Eropa: "Inaccettabile. Sarebbe contro qualsiasi regola: la libertà della stampa è uno dei valori fondamentali dell'Ue. Sarebbe assolutamente inaccettabile se fosse così", dice  la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. E Amnesty International: "Il Pegasus Project rivela come lo spyware della NSO Group sia un'arma a disposizione dei governi repressivi che vogliono ridurre al silenzio i giornalisti, attaccare gli attivisti e stroncare il dissenso, mettendo a rischio innumerevoli vite umane", ha dichiarato Agnes Callamard, segretaria generale di Amnesty. Secondo Callamard, "queste rivelazioni smentiscono le affermazioni della NSO Group secondo cui questi attacchi sono rari e frutto di un uso improprio della sua tecnologia. L'azienda sostiene che il suo spyware sia usato solo per indagare legalmente su criminalita' e terrorismo, ma e' evidente che la sua tecnologia facilita sistematiche violazioni dei diritti umani. Afferma di agire legalmente, mentre in realta' fa profitti attraverso tali violazioni".

La NSO Group ha replicato che la sua "tecnologia non è collegata in alcun modo all`atroce omicidio di Jamal Khashoggi". L`azienda "ha già indagato su queste accuse, subito dopo l`atroce omicidio, che ribadisce sono prive di fondamento", si precisa ancora.  L`indagine ha finora individuato almeno 180 giornalisti in 20 stati - tra cui Azerbaigian, India, Marocco e Ungheria, dove la repressione contro il giornalismo indipendente è in aumento - potenziali bersagli dello spyware della NSO Group tra il 2016 e giugno 2021.