La partita Isis-Al Qaeda, il ruolo dei Talebani e gli errori dell'Occidente

Il ritorno dei terroristi favorito anche dalle mosse affrettate e contraddittorie della coalizione a guida Usa

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Che fine hanno fatto Isis e Al Qaeda, i due soggetti sin qui rimasti nell’ombra ma da sempre capaci di turbare i sonni delle intelligence di mezzo mondo alla stregua (o ancor più) dei redivivi talebani?

I morti all’aeroporto di Kabul riportano drammaticamente sulla scena la prima delle due organizzazioni terroristiche con l’attentato kamikaze attribuito all’Isis-K (e rivendicato su un account Telegram riconducibile ai terroristi), la provincia afghana del Khorasan che si accredita proprio come membro dell’autoproclamato Stato Islamico fondato nel 2014 da Abu Bakr al-Baghdadi nell’area compresa tra la Siria nord-orientale e l'Iraq occidentale.

Eccolo il cerchio che si chiude. Daesh torna alla ribalta e lo fa alla maniera sua: seminando sangue e morte proprio come negli attentati in Europa – Londra, Parigi e Barcellona - che scatenarono la violenta reazione dell’Occidente.  Perse Raqqa e Mosul, costretta ad arretrare dietro l’avanzata dell’esercito regolare iracheno che pareva aver messo al tappeto il Califfato e i suoi combattenti, l’organizzazione terroristica salafita riconquista la scena internazionale in un drammatico risiko al massacro.

E’ solo cambiato il contesto - l’Afghanistan e non più l’Iraq post Saddam Hussein - ma l'obiettivo è quello di sempre, la jihad: la guerra santa contro gli invasori Usa e i loro alleati, per costringerli alla ritirata dall’Oriente e fondare uno Stato islamico retto dalla sharia. E poco importa se di mezzo ci sono i massacri di yazidi, curdi, cristiani assiri e turcomanni sciiti, i civili inermi uccisi e sepolti in fosse comuni scoperte dall’Onu e le decapitazioni di giornalisti filmate in diretta web. Fa tutto parte della propaganda: ecco cosa tocca agli “infedeli” in una visione panislamica in cui sono molti i punti di contatto tra i progetti del risorto Califfato e dei fratelli talebani.

Ora non resta che attendere il ritorno in scena dell’altro co-protagonista del fondamentalismo islamico più oltranzista a suon di kalashnikov e attentati terroristici. Non dimentichiamo, del resto, che Al Qaeda per anni ha potuto prosperare proprio grazie all’appoggio dei talebani, che hanno ospitato e protetto Osama bin Laden. Nella provincia afghana di Kandahar è nato il movimento degli studenti coranici pasthun e lì, tra montagne inaccessibili, lo sceicco saudita ha addestrato i suoi combattenti e pianificato gli attacchi dell'11 settembre 2001.

Dieci anni dopo, il 2 maggio 2011, in un blitz delle forze speciali Usa Osama Bin Laden veniva ucciso. A quel punto gli Stati Uniti avrebbero potuto andarsene dall’Afghanistan, consapevoli almeno di aver centrato uno dei due obiettivi militari, l’eliminazione del nemico numero “uno”. Invece sono rimasti per completare il lavoro - "estirpare Al Qaeda e fare il possibile per stabilizzare il Paese"- ma hanno fallito.  

Dopo anni di guerra costata soldi e vite umane nulla sembra cambiato. Sotto la guida di Ayman al Zawahiri Al Qaeda oggi è rinata con molti gruppi più o meno forti sparsi per  l'Africa, nel Sahel, Mozambico, Mali, in Nigeria (Boko Haram) e Burkina-Faso ma anche Yemen. E l’Afghanistan è tornato nelle mani dei talebani che come Isis e Al Qaeda hanno un vero unico obiettivo: cacciare fino all’ultimo soldato occidentale dal suolo dell’Islam. 

Sta tutto qui il cortocircuito Usa a conferma che la democrazia non è un bene da esportazione e il solo uso della forza non basta. L’errore in fondo è quello di voler replicare il successo della Seconda Guerra mondiale quando con l’eliminazione del nazifascismo in Europa e in Giappone sono sorte democrazie stabili. Da lì in poi invece solo fallimenti: Vietnam, Corea, Libia, Uganda e Somalia, con la sola eccezione dell’intervento nei Balcani. 

La differenza sta nel substrato culturale di Paesi che hanno respinto il tentativo americano di omologazione. E la precipitosa fuga della coalizione ha messo a nudo la fragilità di un Paese, l’Afghanistan, che mostra di non avere né una società civile consolidata, né una cultura religiosa disposta a facilitare un compromesso con il liberalismo e la modernità. Mentre il fondamentalismo, al contrario, tra povertà e scarsa istruzione fa proseliti con estrema facilità.