Chernobyl, l'esperto: "Nessun rischio per l'Italia. Ma occhio agli impianti francesi"

Maurizio Martellini, docente all'università dell'Insubria: "L'atomico è una risorsa ma è anche fonte di rischi seri. E attenzione alle bombe nucleari, potrebbero fare gola ai terroristi"

Manifestazione per commemorare il disastro di Chernobyl

Manifestazione per commemorare il disastro di Chernobyl

Allarme in Ucraina per la riattivazione del reattore 4 nella centrale nucleare di Chernobyl, dove nel 1986 si verificò il più grave disastro civile di sempre. Ma cosa c'è da temere davvero? E noi europei dobbiamo avere paura di possibili conseguenze per un eventuale nuovo incidente? Risponde alle domande l'esperto di nucleare Maurizio Martellini, professore associato di Fisica all'università dell'Insubria.

Quali sono nel concreto i rischi potenziali che corriamo? “Il pericolo è che il nucleo originale del reattore, che continua a fondere e attraversare gli strati superficiali del terreno nonostante il sarcofago di contenimento, raggiunga le falde acquifere, contaminandole. E, dato che molte delle sostanze radioattive presenti hanno tempi di dimezzamento della loro attività che ammontano a centinaia di anni, il problema c'è ed è serio. E' come se il vulcano che è sotto la piattaforma di contenimento realizzata a Chernobyl sia ancora attivo, quindi bisogna stare molto attenti”.

Questo rischio riguarda tutta l'Europa? “No. E' limitato all'Ucraina. Il pericolo riguarderebbe tutto il continente in caso di una nuova esplosione, visto che nel 1986 fu colpito un solo reattore della centrale. Questa eventualità è scongiurata, ma è giusto dire che l'energia nucleare, pur essendo un'importante risorsa, è ancora fonte di rischi molto seri”.

E' possibile controllare questi rischi? “Innanzitutto, senza fare classifiche di pericolosità, è corretto affermare che basterebbe un incidente nucleare di grandi proporzioni per generare conseguenze gravissime. Gli impianti nucleari devono garantire il massimo della sicurezza e sono oggetto di continui 'tagliandi'. C'è però anche una questione economica. Il costo capitale per realizzare un reattore di nuova generazione ammonta a oltre 13 miliardi di euro. Al quale vanno aggiunti i costi di funzionamento e manutenzione. Per questo si preferisce proseguire attraverso 'restyling' dei vecchi impianti”.

Accade anche in contesti a noi vicini? “La situazione da monitorare con maggiore attenzione è quella francese. L'80% dell'energia elettrica transalpina ha origini nucleari e viene prodotta in reattori che hanno avuto un'estensione della vita media. Questo vuol dire che sono un po' 'vecchiotti'. C'è sempre qualche rilascio di combustibile. Sono in  regime di sicurezza ma vanno tenuti sotto controllo. E se succedesse qualcosa a questi impianti ci andrebbe di mezzo tutta la 'vecchia' Europa, Italia compresa”.

Ci dobbiamo abituare agli allarmi nucleari? “Difficile rispondere a questa domanda. Attualmente esiste un compromesso fra l'esigenza di produrre nuova energia e adattamento ai rischi che questa necessità comporta. L'Ucraina, tanto per restare a Chernobyl, anche per la difficile relazione con un vicino ingombrante come la Russia, stima che valga la pena correre questo pericolo piuttosto che rischiare i contraccolpi pesantissimi sull'economia che provocherebbe la perdita dell'autonomia nella produzione di energia elettrica”.

Capitolo scorie: quali tipi di scarti nucleari sono presenti nel nostro Paese? E corriamo rischi per il modo in cui sono stoccati attualmente? “I residui italiani più attivi sono stati trasferiti all'estero, in particolare nel deposito inglese di Drigg, a pochi chilometri dall'impianto di Sellafield. I paesi esteri, però, ora ci vogliono restituire i 'nostri' rifiuti. Ci vuole un deposito unico nazionale, come indica la legislazione europea, ma questa esigenza va a cozzare con la necessità di un'autorizzazione da parte dell'ente locale, Provincia o città metropolitana, che dovrebbe ospitare la struttura per lo smaltimento delle scorie. Nessuno vuole farsi avanti, nonostante Sogim, la società del ministro del Tesoro competente in materia, abbia identificato una serie di siti adatti alla bisogna, in particolare fra le ex miniere di sale”.

Fin qui il tema del nucleare civile, ma c'è anche la questione del nucleare per scopi militari? “Questa dimensione potrebbe sfuggire di mano. Ci sono troppe bombe nucleari in giro. In Italia, e in pochi lo sanno, ce ne sono una trentina, ordigni Nato custoditi presso le basi di Aviano e Ghedi. Si tratta di bombe gravitanti b-61 con comando a doppia chiave”.

Qual è il rischio principale? “Quello legato al terrorismo e allo spionaggio. Qualcuno potrebbe provare a ricattare chi le custodisce. Non con l'obiettivo di utilizzare, ma per avere in mano un'arma di ricatto nei confronti di Stati e Nazioni”.