YOOX E DEPOP, GLI UNICORNI MADE IN ITALY VANNO DI MODA

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UNICORNI SI DIVENTA, la storia di Depop e Yoox insegna. E dice che l’Italia, nel difficile mondo dell’economia digitale e delle start up, può giocare un ruolo di primo piano. L’unicorno, in questo caso, non è l’animale leggendario dal corno a spirale sulla fronte, dotato di poteri magici, ma una start up che riesce a raggiungere o superare il miliardo di dollari di capitalizzazione. Depop è nata nel 2011 da un’idea di Simon Beckerman ed è stata sviluppata in H-Farm, considerato il principale incubatore europeo, nato e guidato da Riccardo Donadon a Cà Tron in quel di Roncade, provincia di Treviso. È stata acquisita da Etsy, il marketplace americano quotato al Nasdaq, per 1,625 miliardi di dollari. Depop entra così nell’olimpo degli unicorni, con una valutazione quasi doppia rispetto a quella che diede Facebook a Instagram nel 2012. H-Farm entra di diritto a far parte dei più importanti acceleratori al mondo, con un risultato che non ha eguali in Europa, confermando la grande visione e intuizione della società del trattorino rosso che, dall’operazione, incasserà complessivamente 11 milioni di dollari a fronte di un investimento di 800mila euro. Il successo di Depop viene da lontano ed è anche un riconoscimento al lavoro dello start up studio fiorentino Nana Bianca, uno dei più importanti in Europa, fondato e guidato da Paolo Barberis, Alessandro Sordi e Jacopo Morello. Nana Bianca fin dall’inizio ha investito du Depop con un finanziamento seed e un lavoro di accelerazione sulla start up che, al tempo, era il 2012, si chiamava Garage.

Simon Beckerman, il fondatore di Depop è un designer grafico. Depop nasce come social network attraverso il quale i lettori del magazine PIG, fondato da Beckerman, potevano comprare gli oggetti dei giovani creativi ospitati dalla rivista. Oggi è un marketplace globale per la vendita di capi usati che si ispira ai valori della creatività, della sostenibilità, dell’inclusione e della diversità, dispone di una community di 30 milioni di utenti registrati in oltre 150 Paesi, 4 milioni di compratori e 2 milioni di venditori attivi, uffici a Manchester, New York, Los Angeles e Sydney, e un team di oltre 300 persone. La sua popolarità è diffusa soprattutto tra i giovani: il 90% degli utenti attivi ha meno di 26 anni e Depop è il decimo sito di shopping più visitato dalla Z Generation americana. Dodici anni fa fu Yoox a scaldare i mercati. Sarà un caso, ma entrambe hanno il loro core business nella moda, quasi un filo rosso che unisce il mondo delle tecnologie con uno degli intramontabili asset del Belpaese: l’Italian style, il bello è il ben fatto, la moda. Settore dove l’Italia vanta un altro campione internazionale del mondo digital: Chiara Ferragni. Nato nel Duemila da una intuizione di Federico Marchetti – ravennate di nascita, bolognese d’adozione, laurea alla Bocconi, master alla Columbia di New York – Yook-Net-A-Porter oggi è parte del gruppo Richemont. Debutta a a Piazza Affari nell’ottobre del 2015 e segna il primo vero trionfo della digital economy italiana. "Quando ho fondato la mia startup ho ragionato sul fatto che l’Italia è il primo produttore di prodotti di alta moda, e il terzo consumatore al mondo. Ho cercato di portarla online", aveva detto allora ai cronisti Marchetti. Missione compiuta, per una società nata, come nella migliore tradizione, stile Silicon Valley, in un garage di Casalecchio di Reno, alle porte di Bologna, in un anno difficile: il 2000, con la bolla delle dot.com pronta a scoppiare.

L’incontro che cambia la vita di Marchetti è con il pioniere del venture capital tecnologico in Italia: Elserino Piol, l’uomo dietro a successi come Tiscali. Il 21 marzo Yook apre i battenti, il 21 giugno arriva il primo ordine on line. Dall’Olanda. Nove anni dopo è un colosso e sbarca in Borsa: le azioni valevano 4,3 euro per una valutazione di circa 95 milioni. A fine marzo 2015 nasce la Yoox Net-a-porter dalla fusione con un altro colosso dell’ecommerce, Net-a-Porter. Nella nuova società il 50% delle quote erano in mano a Yoox, il resto a Richemont. La newco valeva 1,3 miliardi. Richemont lancia l’Opa, valuta l’azienda 5,3 miliardi. Il resto sono storia e successo. Ripercorrere le tappe di Yook, però, è utile per cogliere quegli ingredienti che ritroviamo nelle storie di impresa che hanno tracciato la rotta della digital economy italiana, seminato sul territorio incubatori digitali che sono dei gioiellini di innovazione, sfidato finanza e imprenditoria italiana facendo capire che, sì, gli startuppari potevano fare sul serio.

"Depop è una storia straordinaria – spiega Barberis –, siamo orgogliosi di averci creduto agli albori, investendo con un finanziamento iniziale e molto lavoro di affiancamento. Donadon e H-Farm sono stati bravissimi, ed è il risultato di un ecosistema che funziona. Sarebbe bello se questo ecosistema fosse tanto forte da tenere in Italia queste società, è quello che dovremmo realizzare. Bisognerebbe costruire un modello di Paese che sprigioni nuovi posti di lavoro nei nuovi settori della tecnologia, che offra ospitalità alle start up e abbracci la metodologia del fare impresa digitale". Il momento sembra propizio, il governo Draghi ha un ministro della transizione digitale come Vittorio Colao (ex Vodafone) e un ministro alla transizione ecologica come Roberto Cingolani (ex Iit di Genova ed ex Leonardo). E il Recovery plan promette ricchezza. "Una grande occasione – chiosa Barberis –, ma bisognerebbe avere il coraggio di ribaltare un po’ il tavolo per attirare qui talenti e innovatori e, soprattutto, non fare scappare tutti i servizi che costruiscono l’ecosistema digitale". Barberis viene da lontano, da Dada e da tante avventure che hanno fatto la storia della new economy italiana: "Parlare di transizione va bene – sorride –, la verità è che è già avvenuta da un pezzo in tutto il mondo, siamo più alla rincorsa". Gli unicorni non nascono per caso.

Paolo Giacomin