E alla fine ci mangiamo la plastica

Se dopo una cena a base di frutti di mare non riuscivate a spiegarvi perché vi sentivate appesantiti ora una risposta, o almeno un indizio in più, potete averlo: le microplastiche

Milano, 20 giugno 2019 - 

LETTERA

Sono cersciuto nel periodo in cui la plastica era considerata la scoperta più moderna e versatile fatta dall’uomo. Sembrava potesse risolvere tutte le incombenze garantendo affidabilità e igiene. Oggi si scopre che nelle sue varie composizioni la plastica alla fine ci sta “soffocando” e fa un certo effetto scoprire che ce la mangiamo pure, senza saperlo. Certo che rimuoverla e “tradurne” la versatilità in altri materiali non sarà una sfida facile da vincere. Sempre che la si voglia affrontare globalmente. Alfredo C., Como

RISPOSTA

Se dopo una cena a base di frutti di mare non riuscivate a spiegarvi perché vi sentivate appesantiti ora una risposta, o almeno un indizio in più, potete averlo: le microplastiche. Di sicuro non semplici da “digerire”. È una battuta, ma c’è poco da ridere. Una ricerca commissionata dal Wwf all’università californiana di Newcastle ha svelato gli alimenti con la concentrazione maggiore di piccole particelle di plastica: il sale, già sotto accusa per altre questioni salutiste, e i frutti di mare sono risultati avere una discreta concentrazione. Dell’acqua, sia nella versione “rubinetto” che “bottiglia” già si sapeva, ma chi pensava di aver risolto il problema dissetandosi con altro sappia che pure la birra non è immune dalla scomoda presenza. Lo studio ci fa scoprire che in una settimana inconsapevolmente ingeriamo duemila invisibili particelle di plastica, fanno l’equivalente di una carta di credito “mangiata” a settimana e due etti e mezzo in un anno. Alla sfida di abbattere l’uso della plastica nel mondo dobbiamo aggiungere quella di comprendere quali effetti ha sul nostro corpo e la nostra salute. ivano.costa@ilgiorno.net