Brescia, 9 maggio 2013 - Il metodo Stamina? Non può offrire una concreta prospettiva di cura. Lo sostiene il mondo accademico di Brescia, città divenuta teatro della vicenda Stamina, visto che ad erogare il trattamento sono gli Spedali Civili bresciani. Proprio per dare un sostegno alla direzione dell’ospedale, esposta a forti e contrastanti pressioni, medici e ricercatori dell’area di Medicina dell’Università di Brescia hanno dato un giudizio scientifico sul metodo Stamina. «Il trattamento non risponde a nessuna delle linee guida tracciate dalla società internazionale che si occupa di questo tema e ai principi scientifici cui, come medici e ricercatori, facciamo riferimento. I pronunciamenti giudiziari non possono sostituire le regole e il metodo scientifico».

Attenzione, dicono gli accademici, a non farsi coinvolgere emotivamente. «La medicina deve basarsi su evidenze e prove scientifiche trasparenti e condivise. Il coinvolgimento emotivo dei malati e dei loro familiari non può trovare risposte in trattamenti senza regole, la cui efficacia e sicurezza non sono state adeguatamente valutate secondo procedure pienamente accettate e condivise in tutto il mondo». Al momento, insomma, mancano i dati scientifici per utilizzare il metodo Stamina a scopo terapeutico, seppure come cura compassionevole. Gli accademici sono inoltre preoccupati che le energie spese dal Civile per applicare la terapia Stamina pregiudichino l’assistenza e la disponibilità di risorse e penalizzino malati per cui ci sono trattamenti basati su solide evidenze scientifiche. Attualmente al Civile sono in cura una trentina di pazienti, dalla piccola Celeste Carrer, la prima ad essere autorizzata da un Tribunale a proseguire il trattamento al Civile dopo il blocco di Aifa, all’ultimo caso del bimbo di Napoli di 5 anni e mezzo, affetto dalla sindrome di Sandhoff, che ha ricevuto l’autorizzazione la scorsa settimana.

Come dimenticare, poi, il caso di Sofia, la bimba di Firenze al cui caso si sono interessate anche Le Iene. A distanza di 30 giorni dalla seconda infusione, la mamma di Sofia ha fatto sapere che la bambina stiracchia le braccia, un movimento che da mesi non faceva più. Da una parte, dunque, gli esperti. Dall’altra le famiglie, che, dopo il blocco imposto al Civile da Aifa un anno fa, per accedere al trattamento devono ricevere l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, pur avendo firmato il protocollo per cicli di cinque infusioni. La svolta potrebbe arrivare dal decreto Balduzzi, già approvato al Senato e in calendario alla Camera, che aprirebbe la strada all’uso compassionevole di trattamenti a base di staminali per rare patologie neurologiche. L’accesso alla cura sarebbe così garantito per tutti. Sull’efficacia il dibattito resterà ancora molto aperto.

di Federica Pacella