Vito, pescatore di vite tra Sesto e Lampedusa

Con la sua barca salvò 47 migranti naufragati vicino all'Isola dei conigli. E a Lampedusa Fiorino passa sei mesi all'anno, gli altri nella sua bottega artigiana a Sesto dove prepara allestimenti per il Salone del Mobile

Vito Fiorino nella sua bottega

Vito Fiorino nella sua bottega

Sesto San Giovanni (Milano), 24 febbraio 2016 - Falegname e pescatore di uomini. Nella bottega di viale delle Rimembranze, Vito Fiorino, 67 anni, modella pezzi di legno per gli allestimenti che ogni anno prepara per il Salone del mobile. Nelle pause, lavora per gli amici che gli chiedono di realizzare una barca ad hoc da ormeggiare nel porto di Lampedusa. In quel tratto di mare che ha per sempre segnato la sua vita: "Era l’alba, dormivo in coperta, quando ho sentito delle urla, che inizialmente sembravano vociare di gabbiani".

A Lampedusa, nel mare limpido della Tabaccara, a soli 600 metri dall’Isola dei conigli, era il 3 ottobre 2013. "Il giorno più lungo" per Vito Fiorino che, con il suo peschereccio Gamal e gli otto uomini dell’equipaggio, salvò la vita a 47 migranti che stavano annegando: "C’erano centinaia di mani tese, teste, occhi disperati che chiedevano di essere salvati. Ma non c’era tempo per pensare. Abbiamo avvisato subito la Capitaneria di porto e nel frattempo continuavamo ad afferrare le loro mani, un amico si è tuffato. Alla fine ci siamo ritrovati in 55 nel peschereccio, 46 uomini e una donna".

In quella strage i morti furono 366, per quello che fu uno dei naufragi più drammatici nella storia dell’immigrazione. Con quelle immagini che appartengono alla memoria collettiva: una su tutte, l’hangar della morte nel piccolo aeroporto dell’isola, con centinaia di bare allineate.

Oggi per Vito però è un giorno felice. La dedica del regista Gianfranco Rosi ai lampedusani, per l’Orso d’oro vinto al festival di Berlino con il docufilm "Fuocoammare", lo inorgoglisce: "Finalmente qualcuno che ci dà il giusto riconoscimento. Ho sentito al telefono i miei amici lampedusani e anche loro sono felicissimi. Con me si era complimentato solo il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, donandomi una medaglia, invece dal sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, non ho mai ricevuto una parola di merito. Ma non è grave, noi abbiamo fatto solo ciò che dovevamo fare, rispettare la legge del mare".

Il falegname di Sesto ha messo piede a Lampedusa per la prima volta nell’estate del 2000. Era andato in vacanza con un’amica. Da quel momento ha deciso di chiudere la sua azienda di falegnameria a Pavia dove aveva 11 dipendenti. E nel 2012, un anno prima della strage, ha aperto la sua gelateria, Peccati di gola. "Con Lampedusa fu subito un colpo di fulmine. La vita tra Sesto, Pavia e Milano mi aveva stancato. Lì ho trovato me stesso".

Fiorino trascorre oggi sei mesi l’anno nella bottega di Sesto e sei nella più grande delle isole Pelagie. Ogni anno, durante gli anniversari della tragedia che lui puntualmente diserta, i superstiti, ragazzi eritrei che vivono nel Nord Europa, lo vanno a trovare (foto sotto): "Quest’anno ho fatto con loro una commemorazione intima. Siamo usciti in barca, abbiamo pescato, mangiato, riso e chiacchierato. Uno di loro ha indossato i miei vestiti, quelli che gli avevo dato per coprirlo dopo il naufragio. Mi ha chiamato my father, papà mio".

IL RICORDO Vito Fiorino insieme ad alcuni dei ragazzi eritrei soccorsi che vivono oggi in Nord Europa e lo chiamano ancora «papà mio»

Per Vito Fiorino quei ragazzi del naufragio sono come dei figli. E ogni volta che accende la tv e sente la notizia di un naufragio o magari di un ringraziamento ai lampedusani - come quello di Rosi - il suo pensiero va a loro, a quello che è stato il giorno più lungo della sua vita. A quell’isola che da falegname l’ha fatto diventare pescatore di uomini.