Milano, 16 aprile 2014 - Una lunga catena di responsabilità. Non fu soltanto la psicologa di San Vittore Roberta De Simone - l’unica condannata a otto mesi di reclusione per omicidio colposo - a sbagliare nella vicenda che nell’agosto 2009 portò al suicidio in cella del detenuto Luca Campanale. A leggere le motivazioni della sentenza, depositate nei giorni scorsi dal giudice Fabio Roia, c’è anche il dubbio sulla condotta della psichiatra del carcere Maria Marasco, assolta nel processo ma solo «per la presenza di una prova insufficiente» sul fatto che toccasse proprio a lei, dopo la prima visita effettuata sul ragazzo, «seguire sul piano psichiatrico l’evoluzione del quadro sintomatologico della vittima». E anche altri, sembra suggerire il tribunale, avrebbero meritato di figurare sul banco degli imputati per avere, in un modo o nell’altro, sottovalutato il rischio che quel ragazzo di 28 anni, in carcere per rapina ma con evidenti problemi psichici manifestati anche con precedenti tentati suicidi, potesse peggiorare al punto di giungere ad impiccarsi davvero alla finestra della cella 112 di Piazza Filangieri.

La responsabile del Reparto di osservazione psichiatrica di San Vittore, per esempio, che non fece nulla per trovare a Luca un posto in una delle celle (tutte piene) del Centro di osservazione neuropsichiatrica (Conp) al quale il ragazzo era destinato quando, a fine luglio, venne trasferito da Pavia a Milano proprio a questo scopo. Così come nulla fece, secondo il giudice, nemmeno il direttore del servizio sanitario del carcere, «il quale non ha mai ritenuto di collocare Campanale Luca, intervenendo su un altro detenuto magari sofferente in misura minore, all’interno del Conp, così frustrando le motivazioni che avevano determinato il Provveditorato a disporne l’urgente trasferimento da Pavia, evidentemente non attrezzata per la gestione della situazione psichiatrica del detenuto».

Provveditorato che però, sempre secondo il tribunale, non è a sua volta esente da responsabilità, dal momento che decise il trasferimento di Luca a Milano «in assenza di una preventiva verifica della possibilità di destinare effettivamente il detenuto nel centro medico di San Vittore». Ecco allora perché, in definitiva, per la tragica fine del ragazzo è giusto che a pagare un risarcimento (per ora provvisorio) di 529 mila euro sia anche il Ministero della Giustizia, responsabile ultimo di un sistema nel quale «la gestione del detenuto Campanale Luca» è stata «realizzata dall’Amministrazione penitenziaria con un approccio burocratico e gravemente negligente». Fino alle ultime parole che probabilmente il giovane sentì poco prima di uccidersi, quando, fortemente depresso, chiese di poter vedere un medico e l’agente penitenziario che doveva sorvegliare lui e un intero reparto gli rispose: «Prendi pure una corda e impiccati».