Milano, 3 aprile 2014 - «Guardi io faccio l’imprenditore, con la politica non ho mai quadagnato, anzi ci ho sempre rimesso un sacco di soldi». Un aprile di tre anni fa, Roberto Bernardelli raccontava i suoi anni nella Lega di Bossi, e di un’epica delegasión inviata in Tripolitania - lui, un improbabile alpino per interprete e il Pino Babbini, autista del senatùr -, nei primi anni Novanta, con la missione (fallita) di farsi dare da Gheddafi i soldi per comprare questo quotidiano, il Giorno. Si era nel suo ufficio all’Hotel dei Cavalieri: quello di piazza Missori a Milano, non l’altro quattro stelle omonimo di piazza Vanvitelli a Caserta che appartiene alla sua famiglia (come pure la clinica San Carlo e la Rsa Emilio Bernardelli di Paderno Dugnano), e adesso magari qualcuno ghigna visto che Bernardelli è uno dei 24 arrestati nell’inchiesta di Brescia sui secessionisti veneti. Arrestato in carcere, i carabinieri del Ros l’hanno preso ieri all’alba nella sua tenuta a Pianezzo, frazione di Olgiate Molgora, Brianza lecchese. Le accuse parlano di un nuovo «Tanko», il carro armato dei Serenissimi ricostruito modificando un trattore, e di lui, il Bernardelli, come finanziatore; nelle intercettazioni lo chiamano «il facoltoso».


Le accuse sono da dimostrare, le idee (che non sono reato) no: d’essere secessionista, e irriducibile, l’imprenditore 65 enne non ha mai fatto mistero. «Nella Lega facevo il soldato, ero pronto a qualsiasi sacrificio. Perché credevo nel progetto, che è stato completamente abbandonato. Quello della secessione, sostanzialmente». Un progetto «che ha un’attualità più che politica, economica: il Paese è chiaramente spaccato, a due velocità», argomentava in quell’intervista del 2011 con «alcuni ragionamenti fatti allora, un Nord che entrava in Europa e un Sud che magari rimaneva una sorta di zona franca che poteva attrarre capitali con un euro leggero». Argomenti da imprenditore, identità solo appannata dalla militanza politica («Che la Lega sia una follia è dimostrato: sono uno di quei fessi che presero le azioni della Credieuronord»); eppure non cominciò nel Carroccio ma nei Pensionati, fu assessore ai Servizi sociali nelle giunte di Paolo Pillitteri e poi di Giampiero Borghini durante Tangentopoli prima di passare alla Lega, nel ’92. Eletto in Parlamento, in consiglio comunale (è capogruppo e non perde lo spirito goliardico: «M’inventavo le citazioni, attribuendole a tale Duran de la Mousse»), al Pirellone nel duemila. L’anno dopo lascia il partito: «Quasi tutti quelli della prima ora sono stati cacciati da traditori», ma lui vuole seguire «il sogno originario dell’autonomia» e fonda la Lega padana Lombardia. Nel 2004 si candida a presidente della Provincia, ha l’appoggio dei No euro e del Fronte cristiano, non prende il 2%. La politica non la molla, proprio in quel 2011 lancia il movimento indipendentista Unione padana, confluito l’anno scorso in Indipendenza lombarda. E vuota il sacco sulla spedizione libica, negata dal senatùr: «Però va letta in chiave umoristica. Una roba alla italo-padana...».

di Giulia Bonezzi