Milano, 11 febbraio 2014 - E’ stato assegnato allo studio Piuarch il Premio “Architetto Italiano 2013”, bandito dal Consiglio Nazionale degli Architetti, di concerto con il Maxxi, in occasione della Festa dell'Architetto. Alla sua prima edizione, il premio intende celebrare e valorizzare l’architettura e la qualità del progetto nella loro più elevata dimensione civile e culturale. La consegna ufficilae è prevista venerdì 14 febbraio a Roma.

“Piuarch - ha spiegato la commissione presieduta da Cino Zucchi - è uno studio che opera in Italia e all'estero su diversi temi e a diverse scale - da quella del disegno urbano a quella degli interni – ed è l'esempio felice di come si possa perseguire una grande qualità architettonica e urbana a partire dalla complessità delle forze che oggi agiscono sulla trasformazione dell'ambiente". Infatti, ci sono modi di pensare e progettare l’architettura che prescindono dagli stili e dai linguaggi, ma che, invece, seguono le silenziose regole del vivere urbano e dialogano con l'intera area in cui vengono costruiti, diventandone parte integrante.

 

LO STUDIO PIUARCH - Lo studio Piarch è formato da Francesco Fresa, romano che ha studiato a Berlino;  Germán Fuenmayor, venezuelano; Gino Garbellini, valtellinese e la milanese Monica Tricario, che si sono uniti nel 1996 con la volontà di fondere esperienze diverse in un progetto comune di architettura, dopo aver condivisio la gavetta nello studio di Vittorio Gregotti. Lo studio, un open space ricavato da uno spazio industriale che ospitava un tempo una tipografia, si trova a Brera, nel centro di Milano. Qui Piuarch progetta e realizza edifici pubblici, complessi per uffici, residenze, spazi commerciali e boutique fino al disegno di piani urbanistici, con il contributo di consulenti di diverse discipline.

 

LE OPERE ARCHITETTONICHE - Diciassette anni dopo, lo studio vanta oltre 10 opere architettoniche realizzate, 60 negozi in giro per il mondo e un fatturato annuo dell'ordine dei 2 milioni di euro. Tra i progetti completati recentemente: l’edificio Quattro Corti a San Pietroburgo; il complesso residenziale Village a Segrate (Mi); la sede della società Bentini a Faenza; l’Onda Bianca che si affaccia su Piazza Gae Aulenti a Milano; il complesso Mecenate 79 che ospita i Gucci/Kering Headquarters per l’Italia, oltre a 40 negozi Dolce & Gabbana nel mondo (LE FOTO).

 

Com'è nato il vostro sodalizio?

Monica Tricario: Ci siamo conosciuti a metà degli anni ’80 nello studio di Vittorio Gregotti, dove abbiamo lavorato per 10 anni diventando amici, più che colleghi; qui abbiamo anche imparato a lavorare  e  a confrontarci con mentalità, caratteri e culture diverse. Quando poi è nata l’opportunità di lavorare in modo indipendente, abbiamo unito le forze.

 

Cosa contraddistingue i vostri progetti?

Germàn Fuenmayor: I nostri primi lavori partivano dallo studio e dall’utilizzo di un linguaggio prettamente legato all’architettura, con una grammatica riconducibile a quella elaborata dagli architetti del movimento moderno.

 

Un esempio?

Germàn Fuenmayor: Per esempio nel primo progetto che abbiamo portato a termine, le case popolari nell’area Ex Falck a Sesto San Giovanni, abbiamo lavorato in modo quasi scolastico, a partire dallo studio dell’architettura razionalista, con particolare riferimento a Terragni, concentrandoci nella soluzione accurata dei dettagli, ma al tempo stesso introducendo dei materiali allora inusuali per un progetto di edilizia convenzionata in Italia, come il rivestimento in legno delle facciate. Con l’utilizzo di questi materiali ci misuravamo piuttosto con altre giovani esperienze europee del momento, come quella spagnola.

 

Poi è cambiato il modo di lavorare?

Successivamente abbiamo esplorato lo studio dei volumi plastici in progetti come la fabbrica di Incisa in Val d’Arno, o più recentemente nel concorso per il nuovo Polo Congressuale di Riva del Garda, dove le masse volumetriche istaurano un dialogo col paesaggio montano circostante. Parallelamente, abbiamo intrapreso una ricerca più legata a linguaggi sviluppati al di fuori dell’ambito strettamente architettonico, in particolare dal mondo dell’arte.

 

Diverse funzionalità di edifici, ma un solo concept, quale?

Francesco Fresa: consideriamo l’architettura nel suo contesto, il luogo è molto importante per lo sviluppo del progetto. Non siamo per una architettura globalizzata ne tantomeno di stile.

Gino Garbellini: le nostre architetture non sono solo legate al luogo fisico; sono attente ai riferimenti culturali mantenendo un dialogo con gli elementi. Con la committenza, cerchiamo di capire il perché di quel luogo o quell’edificio; lavorando insieme, più che sul nostro linguaggio, sul modo in cui ci avvicinaimo al progetto, affinché il risultato sia riconoscibile, in relazione al contesto e allo stesso tempo universale.

Monica Tricarico: Siamo molto attenti al luogo. Non ci piacciono astronavi calate in un contesto urbano dove non c'entrano nulla. Un luogo però non è solo un vincolo, ma anche uno stimolo.

 

Come si coniugano moda e architettura?

Monica Tricario: Dal punto di vista delle manifestazioni che caratterizzano la moda o il design possiamo dire che ci sia sempre una maggiore sovrapposizione di moda e design, se pensiamo anche alle settimane milanesi è piuttosto evidente. Per quanto riguarda l’architettura vera e propria crediamo che nella nostra esperienza siano state una di supporto all’altra, una esaltante le peculiarità dell’altra. Se guardiamo alla nostra esperienza con Dolce & Gabbana, possiamo affermare che l’architettura rigorosa, ma preziosa in termini di materiali utilizzati dei nostri edifici che fa da sfondo allo stile del marchio ne esalti le qualità senza prevaricarle, ma è anche viceversa.

 

I concorsi sono strumenti utili?

Monica Tricario: Come per tutti gli studi giovani, anche per noi i concorsi hanno rappresentato e rappresentano occasioni di crescita e di nuove opportunità. Sono spesso anche stimolanti esercizi creativi più liberi, se vogliamo, dai vincoli di una committenza reale. Certo è che in Italia il risultato concreto della maggior parte dei concorsi pubblici è sconfortante, mentre parallelamente lo sviluppo e la trasformazione del territorio vengono lasciati all’iniziativa imprenditoriale privata.

 

Perchè avete vinto voi questo premio?

Monica Tricario: Chissà. Ci piace pensare che il lavoro che abbiamo fatto in questi anni, sia stato apprezzato per l’impegno e la qualità raggiunta.

 

Com'è Milano?

Monica Tricario: Milano è una strana città, “provinciale” da un lato, internazionale dall’altro. Il suo essere provinciale ti dà la possibilità di intrecciare con le persone che fanno parte della tua attività professionale rapporti molto stretti, di conoscenza reciproca, di confronto costante. La sua internazionalità crea occasioni per entrare in contatto con esperienze provenienti da altri paesi, nell’arte, nell’architettura, nella moda. Milano è una città che accoglie le esperienze più diverse e che le concretizza sfruttando una dimensione artigianale che raramente si trova in altri luoghi a così alti livelli.

Gino Garbellini: Di Milano ci piace però la forte creatività e il desiderio di dialogare con le altre città europee.

Germàn Fuenmayor: Questo modo di leggere il nostro legame con Milano mi fa pensare a una frase di Carlos Raùl Villanueva quando diceva che la visione dell’architetto deve essere globale, universale, e pertanto locale.

 

Com'è essere architetti a Milano?

Gino Garbellini: Lavorare come architetto a Milano significa entrare quotidianamente in rapporto con la doppia anima di questa città, in cui s’intrecciano rapporti molto stretti, di conoscenza reciproca, di confronto costante con le persone che fanno  parte della propria attività professionale e in cui, al tempo stesso, si ha la possibilità di confrontarsi con progetti internazionali e di grande respiro. Lavorare a Milano, e più in generale in Italia, significa anche entrare in conflitto con un Paese che scarsamente promuove il ruolo dell’architettura, implica misurarsi quotidianamente con questa grave miopia e, nonostante tutto, lavorare nel miglior modo possibile per innescare impulsi positivi. Il fare architettura a Milano procede per interventi calibrati, misurati nei dettagli, in cui – anche nel caso di grandi operazioni internazionali – è costante il confronto con il contesto e in cui la qualità costruttiva è tenuta alta. A mio parere la vera sfida per il futuro, in un procedere sempre più globalizzato, sarà riuscire a mantenere vivo questo approccio attento al tessuto della città e promuovere la nascita di progetti di carattere contemporaneo, ma fortemente radicati alle caratteristiche locali, che aggiungano nuove sfaccettature al volto della città senza snaturarlo.

 

L'edificio al quale siete più affezionati a Milano?

Monica Tricarico: L'Onda Bianca è l'ultimo nato e ci piace molto perchè delicato e poetcio e rispetta l'architettura della zona. Ma quello a cui siamo più legati è il nostro primo lavoro. Si tratta di un complesso di edilizia residenziale sovvenzionata Fola a Sesto San Giovanni, a nord di Milano. Rientra nell’ambito di un piano di recupero urbano che riguarda tutta la zona circostante. L’obiettivo principale delle soluzioni proposte è stato poter realizzare un edificio di grande qualità a budget economico ridotto.

 

Sentite l'influenza della crisi?

Monica Tricario: Come tutti, credo. La affrontiamo cercando di investire ancora di più nella ricerca e nella qualità.  Lavorando anche all’estero devo dire che siamo in contatto anche con realtà in cui la crisi è meno sentita che in Italia. In generale vogliamo essere ottimisti.

 

Progetti futuri?

Monica Tricario: Sicuramente i concorsi. Al momento stiamo partecipando a due diversi concorsi, uno in Francia e l’altro in Cina e poi il progetto di via Mecenate, che dovrebbe chiudersi nel 2015;  si tratta della riqualificazione del complesso dell’ex fabbrica Caproni, che si estende su un’area di 30.000 mq, investendo sul recupero degli edifici industriali esistenti e sulla realizzazione di nuove volumetrie.

di Marion Guglielmetti