Milano, 22 settembre 2013 - È incastrato ra una panetteria e una serranda abbassata il cinema Pussycat. L’ultimo sopravvissuto dei cinema hard milanesi fa l’occhiolino da un palazzo bordeaux di via Giambellino 153, richiamando clienti con una donnina ammiccante sull’insegna. Braccia sollevate e stelline che coprono i seni nudi. Accanto, le bandiere italiane in cima a un tettuccio sporgente. È rimasto l’unico baluardo del grande schermo pornografico all’ombra della Madonnina: le altre tre sale che fino a giovedì aprivano i battenti dal primo pomeriggio fino a mezzanotte, brandelli di un mondo in estinzione, sono state chiuse in un colpo solo dopo un’inchiesta della polizia locale. Altro che film: lì dentro si andava per consumare rapporti sessuali. Trans, gay e ragazzi minorenni si vendevano in platea e nei bagni.

Resiste solo il Pussycat, a pochi metri da piazza Tirana. E a questa sala dell’estrema periferia, nata nel 1949 come cinema popolare di terza visione, nessuno ormai sembra fare più caso. Ma basta nominarla per vedere la gente stringersi nelle spalle e allontanarsi con un pretesto qualunque. Le signore passano coi carrellini della spesa davanti a pseudo-locandine (altro non sono che pezzi di carte illeggibili) e superfici coperte di graffiti, girano la testa quando arrivano al cospetto dell’ingresso e passano oltre. La porta è un pannello impolverato. In bella vista, solo avvisi informativi: “Aperto”, “Aria condizionata”, tenuti su con strisce di scotch marrone. Lo stesso che incolla la maniglia rotta.

Dare una sbirciatina all’interno è un’impresa, soprattutto se si appartiene al gentil sesso. Infatti, appena allungato il passo oltre la soglia, all’istante si viene accompagnate all’aperto: «Qui le donne non possono entrare», sbotta una signora dai modi bruschi. Un commento sui cinema hard a Milano? Non se ne parla. Dopo un minuto, sul marciapiedi, ecco sbucare un uomo (forse il gestore?) che sbraita alla vista della macchina fotografica. Le persone intorno non si scompongono. Saranno abituate a sceneggiate di questo tipo, lì fuori. Anche se l’impressione è che il viavai sia discreto ma continuo. «Vedete quella coppia? Sono degli habituè», osserva un residente indicando un anziano in compagnia, appena uscito. «La persona con lui sembra una donna ma è un transessuale. Entra ed esce dal locale almeno quattro volte al giorno», spiega. Ma nessuno si sogna di lanciarsi in discorsi moralistici. «In questa periferia, il cinema a luci rosse è l’ultimo dei problemi», dicono in un negozio a fianco. «Non dà per niente fastidio. La zona, piuttosto, è diventata uno schifo e ci sarebbe tanto da fare: tra bivacchi al parco, sporcizia e controlli scarsi siamo messi male», afferma Lina Guarneri.

Piera Zecchillo, del bar-tabaccheria, è ottimista: «Il cinema non crea problemi. I disagi sono gli stessi delle altre periferie ma abbiamo tanti servizi e soprattutto gente volenterosa che organizza attività ricreative. La prima emergenza da risolvere è il degrado delle case popolari». Già. Di fronte al cinema svettano i palazzoni che secondo i piani prospettati qualche anno fa sarebbero dovuti essere abbattuti e ricostruiti. «Invece cadono ancora a pezzi», fa sapere Antonio Strizzo, che spesso si trova a passare davanti al Pussycat. «Il posto è frequentato da gente che ha problemi psicologici, senzatetto, accattoni e anziani. I giovani non vanno lì», spiega. Si limitano a sorridere quando passano di fronte all’ingresso.