Foreign fighter da Inzago alla Siria: Fatima convertita all’odio da una rete di sostenitori e finanziatori

Inchiesta sui contatti della guerrigliera italiana di Marinella Rossi

Fatima

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Milano, 13 gennaio 2015 - La rete di Fatima: chi l’ha sostenuta, chi l’ha finanziata, chi l’ha incoraggiata, chi l’ha preparata, e chi alla fine l’ha aiutata a volare in Siria. Chi, sul terreno di battaglia dell’Isis, il sedicente Stato Islamico, l’ha presa in consegna; e che tipo di rapporti e relazioni intesse con qualcuno in Italia e in Europa. Sulla retrovia logistica alle spalle di Fatima, un tessuto irrorato da miriadi di contatti, va avanti un’inchiesta che, partendo dalla donna convertita più che all’Islam all’integralismo islamico, deve fare i conti con le fughe di notizie sui foreign fighter, cittadini italiani convertiti al fondamentalismo e divenuti guerriglieri, attivate dall’emozione e dalla paura a scia degli attentati di Parigi.

Su Fatima e sulla rete segreta a sostegno c’era da mesi un’inchiesta condotta dal dirigente della Digos Bruno Megale e coordinata dal procuratore aggiunto dell’antiterrorismo Maurizio Romanelli e dal sostituto Paola Pirotta. C’era, imperfetto d’obbligo, perché la preoccupazione tangibile è che l’emersione dell’esistenza della giovane, cittadina italiana che da Torre del Greco a Inzago, attraverso un paio di matrimoni, sia arrivata al salto di qualità e persino al terrorismo, abbia fatto terra bruciata alle indagini.

Ma non c’è solo Fatima, tra i candidati a divenire foreign fighter: su altri da tempo si è allungato l’occhio della Digos, nella logica, dal 2001 in poi (attacco alle Torri Gemelle) di un monitoraggio costante dei fenomeni che possano destare il minimo allarme. Altri casi sono oggetto d’indagine, partendo dal fatto che un cittadino italiano che si converta all’Islam e poi abbracci il fondamentalismo debba comunque contare su una rete di sostegno.

L’icona Fatima - perché questo diventa la giovane rimbalzata come uno dei quattro foreign fighter di cui ha parlato in Parlamento il ministro dell’Interno Angiolino Alfano - è un caso esemplare. E vistoso. Non era una che non si nota, Fatima. Al secolo Maria Giulia Sergio, 27 anni, da Torre del Greco si trasferisce con famiglia nella piccola Inzago, paese che lavora ma ha occhi e orecchi. E come non notare una ragazza napoletana che giorno dopo giorno passa dalla moschea di Treviglio, Bergamo. Prima si sposa con un marocchino, il secondo matrimonio è con un albanese musulmano. Nella sua personale strada per Damasco, allarga la propria conversione religiosa a tutta la famiglia, padre madre e sorella, che vivono ancora a Inzago.

Ma fin quando le uscite di Fatima Az Zahrà, nome da convertita, sono post su Facebook (l’ultimo nel novembre 2013) - come l’augurio, «in nome di Allah», della «vittoria sui miscredenti» - l’attenzione può essere solo attenzione. Indossare il niqab, chiedere, per il suo matrimonio, ai contatti fb, quale velo indossare? Tutto qui. Attenzione. Nessun reato. Tanto che Fatima se ne può andare, senza che nessuno glielo possa impedire, alcuni mesi fa. Ma ora chi potrebbe averne fatta non solo una musulmana convertita ma una guerrigliera o una terrorista è l’oggetto dell’inchiesta che si teme sia stata azzoppata. E che deve fare i conti con fatti e qualficiazioni giuridiche, ma anche con il nuovo allarme. Con la scoperta, progressiva, che Milano e l’Italia non sono più fertile ma tranquilla retrovia degli irriducibili dell’Islam, per passaporti, movimento denaro, e reclutamento di combattenti. Sono nell’occhio strabico dell’Isis come gli altri.

marinella.rossi@ilgiorno.net