Sirtori (Lecco), 13 febbraio 2014 - Da quasi nove mesi si trova in carcere, dall’altra parte del mondo, a 10mila chilometri di distanza e quasi 15 ore di viaggio in volo, in Guatemala. Deve scontare una condanna a otto anni di reclusione dopo essere stato accusato di aver abusato di una bambina delle elementari, una alunna della scuola che Samuele Corbetta, volontario di 32 anni di Sirtori, ha contribuito a costruire con le proprie mani. Prove contro di lui non sarebbero emerse. Anzi, molti testimoni lo avrebbero scagionate, ma probabilmente è finito in un gioco politico interno troppo grosso e il verdetto è stato ugualmente di colpevolezza.

Grazie all’intervento dei funzionari dell’ambasciata italiana gli è stato almeno risparmiato di essere rinchiuso in una prigione comune, dove probabilmente non avrebbe resistito a lungo. Ma non si tratta di una garanzia, la vita è dura lo stesso e pericolosa. «Se fosse un marò oppure un servitore dello Stato in molti si occuperebbero di lui e cercherebbero di riportarlo a casa, ma è un semplice cooperante e in pochi si interessano alla sua vicenda», si sfoga Roberto, il papà 62enne. Con la moglie Emiliana ha incontrato personalmente il ministro degli Esteri tricolore Emma Bonino, i diplomatici hanno fornito a suo figlio i migliori legali di cui dispongono, i parlamentari lecchesi Gianmario Fragomeli e Veronica Tentori stanno premendo affinché si arrivi presto a un accordo bilaterale per estradarlo, ma al momento i risultati sono pressoché nulli.

Il primo ricorso ai giudici guatemaltechi della corte speciale per ribaltare il verdetto è stato respinto, è stato depositato un secolo appello ai magistrati di quella che può essere considerata la cassazione ma prima venga esaminato trascorreranno settimana e settimane e intanto il tempo passa inesorabile, con quel ragazzo figlio dimenticato d’Italia sempre dietro le sbarre.  

«Sappiamo di non essere soli, ma in qualche modo ci sentiamo abbandonati, vorremmo più sostegno e una mobilitazione da parte degli esponenti istituzionali e dell’opinione pubblica», prosegue il genitore, che a breve partirà per il Centroamerica, una trasferta impegnativa, economicamente e psicologicamente. Il timore è che alla fine il giovane attivista debba pagare sino in fondo il suo debito con la giustizia. Ma si tratta anche una speranza. Perché, se almeno questa volta verranno riconosciuti i suoi diritti, tra buona condotta e lavori detentivi, la pena a conti fatti potrebbe essere addirittura più che dimezzata. E i politici e i diplomatici ancora una volta arrivare troppo tardi, quando ormai non servono più.