Ragazze prigioniere

Il margine di sofferenza in amore dovrebbe essere lo stesso per un paio di scarpe

Milano, 11 gennaio 2018 -  Il margine di sofferenza in amore dovrebbe essere lo stesso per un paio di scarpe. Detto col massimo rispetto per l’amore e per le scarpe, che dovrebbero portarci lontano senza inutili dolori. È buon senso, cosa di cui sia in tema di amore sia di scarpe sembrano difettare le donne. Un uomo cammina solo se i suoi piedi hanno ciò che meritano e raramente capiterà di incontrarne uno con bolle e alluce valgo. Viceversa confesso di avere fatto pazzie e chilometri su protesi contro natura, concedendo a calzature mal congegnate troppe chance. E so di essere in buona compagnia, come confermano amiche e farmacisti che stravendono cuscinetti paravesciche e rotolini di gomma in cui avvolgere dita martoriate. Ci si innamora, tutto qui.

E per farsela passare a volte non basta giocarsi l’arco plantare. Magari si smette per qualche giorno, ma la scarpa resta nella scarpiera e nel cuore quando la cosa più saggia sarebbe buttarla. Cosa dire alla poveretta impalata sui tacchi incrociata un’estate in un rifugio di alta montagna? Niente in quel momento. Soffriva contenta appoggiandosi al braccio di un compagno indifferente e ben piantato sui suoi scarponcini. Qualcosa dovevo dirla a lui: ma la fai uscire così? Però sarebbe stato sbagliato, perché gli uomini e le scarpe che fanno male non ci sentono. Alla ragazza prigioniera dei suoi piedi in quota e alle ragazze che recidivano amori malati va spiegato che vivere in libertà significa rinunciare a ciò che irrita, pizzica e ritorna per fare nuovi danni. Nessuna seconda chance. Una scarpa sbagliata va gettata, solo così il piede guarirà. Provateci almeno. Qualche metro senza, assaporando la terra leggera. Raggiungere un livello di autonomia tale da sentirsi irresistibili anche scalze, o sole, è difficile. Ma è più facile che rendersi complici del proprio malessere.