Caparezza al PalaYamamay: "Il concerto? Un’autoanalisi"

A Busto Arsizio l'unica tappa lombarda del tour. Poi sarà festival open air

Caparezza

Caparezza

Busto Arsizio (Varese), 20 febbraio 2018 - Le sue prigioni.  Seduta pubblica di autoanalisi per Caparezza venerdì prossimo al PalaYamamay di Busto Arsizio, unica tappa lombarda 2018 di quel “Prisoner 709 Tour” che lo riporta alla conquista dei palasport. Esaurito con settimane di anticipo, lo show di Busto è, infatti, un tonante piano di fuga da quel carcere mentale in cui Michele Salvemini-“Capa” s’è cacciato bordeggiando con le sue letture Freud e Jung, Zimbardo e Sacks. Un distillato psicanalitico evocato pure dal video di “Una chiave”, girato dal rapper pugliese tra la Basilicata e casa sua, a Molfetta, assieme ad un piccolo alter ego tale e quale a lui.

Michele, perché parlare con se stesso bambino...

«Perché lo faccio pure nella canzone. Essendo “Prisoner 709” un carcere mentale, emotivo, il capitolo della visita del parente è stato sostituito da quello della visita a me stesso. È il bambino a darmi coraggio, non il contrario, e quindi a sorprendermi suggerendo di guardare avanti e non al passato. Insomma, offrendomi una chiave per aprirmi al mondo».

La frase “potessi abbattere lo schermo degli anni, ti donerei l’inconsistenza dello scherno degli altri” è impegnativa.

«Sì, ma credo che sia capitato a tutte le persone un po’ particolari, un po’ strane, non inquadrate, come me, di essere anche un po’ dileggiato per la sua diversità. Ma alla fine è proprio il disallineamento ad avermi spinto in una direzione interessante».

Quale?.

«Ho fatto, ad esempio, la scelta di andare sul palco e di dare lì il meglio che potevo. Questa cosa mi ha permesso, nel tempo di fidelizzare un pubblico. In linea con questo principio, dopo le dieci date nelle principali arene, volevo dare l’occasione di assistere allo spettacolo pure a quanti non vivono in grandi città come Roma, Bologna o Milano, ma apprezzano comunque la mia musica. Offrirgli uno spettacolo irripetibile in un altro contesto, a cominciare da quei festival che intendo affrontare in estate. Anche se questa di Busto Arsizio è l’ultima occasione per vedere lo spettacolo così come l’ho concepito, visto che poi “open air” cambierà faccia».

Presentando “Prisoner 709” ha detto che gli album debbono esistere, non piacere. A giudicare dai palasport pieni, si direbbe che le due cose possano anche sovrapporsi.

«Quando si verifica questa alchimia, sono felice. Al tempo ho detto quella frase perché allora non ero così convinto che “Prisoner 709” potesse incontrare il successo che poi ha avuto. Sono stato il primo a sorprendersi. Per la prima volta in quasi vent’anni che faccio concerti ho riempito il Forum di Assago fino all’ultimo posto. Mi sono sentito come la classica formichina che passo dopo passo raggiunge il traguardo. Alla fine di ogni spettacolo, più che pagato, mi sento appagato dalla reazione del pubblico».

Lo Stato Sociale ha portato a Sanremo il Piccolo Coro dell’Antoniano così come lei ha schierato un coro di bambini nel video di “Mi fa stare bene”.

«Secondo me nei cori di voci bianche c’è una potenzialità molto alta perché, per come vanno oggi le cose, la sola speranza a cui possiamo aggrapparci è la prossima generazione».