Tangenti, Caianiello ex "ras" di Forza Italia: "Venivano tutti da me a chiedere qualcosa"

La nuova vita del coordinatore del partito tornato libero il 23 dicembre dopo lo scandalo delle tangenti

Nino Caianiello

Nino Caianiello

I suoi soprannomi: “burattinaio”, “ras di Forza di Italia”. Per molti anni è stato uno degli uomini politici dietro le quinte più importanti del suo partito in Lombardia. "Venivano tutti da me a chiedere qualcosa: l’imbianchino, il primario, il carabiniere, l’assessore, il sindaco". Da Gallarate la bacchetta di Nino Caianiello ha diretto nomine, appalti, consulenze, candidature finché l’inchiesta della Procura della Repubblica di Milano “Mensa dei Poveri“, riferimento ironico a un noto ristorante vicino alla sede della Regione da sempre scenario di intrighi di potere, nel 2019 ha fatto giganteggiare la sua figura in un presunto, articolato sistema di corruzione. È finito in carcere, una prima volta in custodia cautelare e poi per scontare la pena patteggiata a quattro anni e dieci mesi per corruzione. Dallo scorso 23 dicembre è un uomo libero, con l’affidamento in prova ai servizi sociali. E approfitta di questo nuovo “status“ per raccontare il prima, il durante e il dopo il giorno in cui è finito dentro.

"Non voglio fare l’eroe ma nemmeno nascondere nulla: ho patteggiato non per un calcolo processuale ma ammettendo i miei errori, le mie nefandezze, e anche perché venisse fatta chiarezza su quello che è successo, ma non so se mai verrà fatta perché il procedimento per gli altri è ancora in corso. Ero un uomo di potere ma non per interessi personali. Lo ero come strumento per i disegni politici del centrodestra. Io non ho mai avuto ruoli istituzionali, ero solo coordinatore provinciale di Forza Italia e nemmeno li volevo quei ruoli. Però determinavo a chi sarebbero dovuti andare i voti nell’ambito del centrodestra".

Quel che è certo è che l’esperienza detentiva l’ha segnato. "Vengo dal rione Sanità di Napoli – racconta – so cos’è la miseria. In carcere molte delle persone che ho incontrato erano malati psichiatrici o spacciatori, per lo più non italiani. Gli educatori sono pochissimi, gli agenti sono ancora più carcerati dei carcerati, degni di tutta la mia stima". La politica, almeno per ora, non è nei suoi orizzonti. È tornato ai studi di agraria e si è appassionato di teatro. "E comunque il carcere non lo mollo più, partecipo alle iniziative di “Nessuno tocchi Caino“ e voglio impegnarmi ad aiutare chi è rimasto dentro, a dare un senso a quello che mi è successo".