Sesto Calende: "Prigioniera in ospedale da 14 giorni perché mancano cure a domicilio"

La denuncia di Federica, mamma di una 17enne con disabilità gravissima: fuori dal reparto nessuno può seguirla

Sesto Calende (Varese) - Dovrebbe e potrebbe essere curata a domicilio, invece, da 14 giorni a questa parte, è costretta a rimanere ricoverata in reparto perché non si trova nessuno che possa seguirla una volta fuori dall’ospedale. "Mia figlia ed io – spiega Federica Muller – ci sentiamo degli ostaggi. Siamo prigioniere di un sistema che non è in grado di garantire cure a domicilio ad una minorenne che necessita di un’altissima intensità assistenziale". Il ritorno al territorio, più volte annunciato dalla Regione come il pezzo forte dell’ultima riforma della sanità, non vale dappertutto, per lo meno non a Sesto Calende (Varese) e nel territorio di competenza dell’ATS Insubria, né vale per tutti: "Qui l’ospedalizzazione domiciliare esiste per adulti e anziani in condizione di fine vita e per i pazienti oncologici. I bambini che rientrano nelle categoria dei cronici, invece, sono invisibili". I fatti, allora.

Il 28 marzo Cecilia, 17enne con disabilità gravissima, la figlia di Federica, è stata ricoverata al reparto di terapia intensiva pediatrica dell’ospedale Del Ponte di Varese a causa di un’infezione respiratoria. Grazie alle capacità e alle cure dell’équipe del reparto, Cecilia in 10 giorni è riuscita a superare la fase acuta dell’infezione e da allora, da due settimane a questa parte le sue condizioni si sono stabilizzate al punto che, secondo il personale del Del Ponte, potrebbe ora essere seguita ed assistita a casa, evitandole quindi un’ospedalizzazione prolungata.

Ed è qui che iniziano i problemi. In Lombardia c’è un istituto deputato a garantire le cure domiciliari a persone con disabilità gravi o gravissime o comunque non autosufficienti: si tratta dell’ADI, acronimo che sta per Assistenza Domiciliare Integrata. Sotto queste tre lettere sono raggruppati, e di fatto omologati, pazienti con esigenze ed età diverse, per non dire diversissime. Da qui il problema storico di un’ADI a due velocità: funziona meglio per adulti e anziani, meno bene per i minorenni.

Problema nel problema: negli ultimi due anni la congiuntura pandemica ha ulteriormente acuito la carenza di infermieri e di specialisti che da tempo caratterizza l’ADI e a farne le spese sono stati soprattutto i servizi destinati ai minori con disabilità. Tra il 2020 e il 2021, solo a Milano e provincia, il numero di bambini seguiti dagli enti accreditati dalla Regione si è ridotto del 40%. Nel territorio di competenza dell’ATS Insubria e delle ASST Sette Laghi e Valle Olona, lo stesso in cui rientra Sesto Calende, la città in cui abita Federica, è andata persino peggio: come già riportato, ad oggi c’è una sola cooperativa sociale in grado di occuparsi dell’assistenza domiciliare ai minori. A patto che si tratti, però, di un livello di assistenza che, per intenderci, potremmo definire standard. Non rientra in questa categoria, l’assistenza di cui Cecilia, ora più che mai, avrebbe bisogno, vale a dire un’assistenza ad alta intensità e comprensiva di quelle cure palliative che devono essere assicurate non solo a chi è in uno stato di fine vita ma anche a chi, come Cecilia, rientra tra i cronici. Ecco, a Sesto Calende e dintorni ad oggi non c’è alcuna cooperativa sociale, alcuna associazione profit o no profit, alcuna fondazione, alcun ente accreditato, che possa garantire a questa ragazza di 17 anni le cure di cui ha bisogno a domicilio.

Si tratterebbe di unire in un unico progetto di presa in carico l’assistenza infermieristica, il monitoraggio da parte di medici anestesisti, la possibilità, al bisogno, di seguire terapie e di poter contare, a casa, su antibiotici che non si possono acquistare in farmacia: "A Cecilia bastano 12 ore per andare in shock settico" spiega sua madre.

Ma non è finita. "Il primario e l’équipe della terapia intensiva pediatrica dell’ospedale Del Ponte, che ringrazio per il grande lavoro che hanno fatto e stanno facendo per mia figlia, si sono resi disponibili a trovare una soluzione che le consenta di avere l’assistenza domiciliare alla quale ha diritto – racconta Federica –. Ma non si riesce a capire in che modo questo possa avvenire". In altre parole: l’ADI è un servizio chiuso (oltre che macchinoso), un servizio che può essere svolto solo da chi di anno in anno ottiene l’accreditamento dalla Regione e non c’è possibilità che possa in qualche modo essere offerto da “esterni“. In più pare non esista alcuna procedura codificata per garantire cure palliative a domicilio ai minori. Tutto questo ha finora reso impossibile un eventuale coinvolgimento dell’ospedale nel progetto di cura a domicilio e ha fatto sì che Cecilia e sua madre si sentano "ostaggi" a tempo indefinito.