Saronno, "Pazienti morti avvelenati": era il “protocollo” Cazzaniga

Scontro tra difesa e pool di Cristina Cattaneo

Leonardo Cazzaniga

Leonardo Cazzaniga

Busto Arsizio (Varese), 22 giugno 2019 - Luciano Guerra e Domenico Brasca sono morti avvelenati da farmaci non previsti nel piano di cura, assenti nelle cartelle cliniche, somministrati in sovradosaggio da Cazzaniga, senza comunicarlo al personale medico e ai parenti del malato. Erano anziani, sofferenti per plurime patologie (Brasca in particolare), ma non potevano essere ancora considerati malati terminali. Non ci sono spiegazioni cliniche per un decorso letale tanto rapido se non i farmaci assunti.

Ultima udienza e poi una lunga pausa nel processo, in Corte d’Assise a Busto Arsizio, a Leonardo Cazzaniga, ex aiuto primario del pronto soccorso del presidio ospedaliero di Saronno. È accusato di dodici omicidi in corsia e di quelli di tre familiari della sua compagna di un tempo, l’infermiera Laura Taroni.

Luciano Guerra, suocero della Taroni, ricoverato in Medicina a Saronno, muore a 78 anni, il 20 ottobre 2013. Domenico Brasca, 82 anni, cessa di vivere nella sua abitazione di Rovello Porro, dopo poche ore trascorse al pronto soccorso, il 18 agosto del 2014. Entrambe le salme erano state esumate per essere esaminate, con la formula dell’incidente probatorio, da un collegio di periti, gli stessi comparsi ieri in aula: Cristina Cattaneo, ordinario di medicina legale e direttore del Laboratorio di antropologia e odontologia forense di Milano, Gaetano Iapichino, ex ordinario di anestesia e rianimazione alla Statale milanese,Vera Gloria Merelli, medico legale del Labanof, Angelo Groppi, professore associato di tossicologia forense a Pavia.

C'è un nesso fra la somministrazione dei farmaci e la morte causata da depressione respiratoria, è una delle prime domande dei pubblici ministeri? «In via di elevata probabilità», è la risposta di conferma di Cristina Cattaneo. In assenza di dati sperimentali e non conoscendo il dosaggio, si rischia di cadere in un giudizio probabilistico come sostiene la difesa? «La valutazione è farmacologica, non medico legale. Siamo in presenza di avvelenamento, che provocava malore o morte».

L'ansiolitico Midazolam e la morfina per Guerra. Midazolam, i neurolettici cromazina e clorpromazina per Brasca. Non presentavano sintomi, segni premonitori che, oggi, potrebbero far pensare a cause della morte come infarto miocardico, ischemia, emorragia cerebrale, embolia polmonare, improvvisa “fame” d’aria. Uno dei difensori di Cazzaniga, l’avvocato Andrea Pezzangora, muove un contestazione precisa e “pesante”: nell’incidente probatorio alla domanda se il default del paziente poteva verificarsi anche al netto della somministrazione dei medicinali, la risposta dello stesso perito era stata affermativa. Subito dopo sprizzano scintille. Alla domanda «Tutti i pazienti trattati Midazolam muoiono?», Iapichino risponde con un «Ma lei è matto?», che fa insorgere l’altro difensore, l’avvocato Ennio Buffoli. Per qualche istante è bagarre.

Polemiche a parte, la difesa di Cazzaniga, con il consulente Furio Zucco ha chiarito da tempo la sua posizione sull’onnipresente Midazolam. Non è mortale e quindi non si può parlare di dosi letali in nessuna quantità. È stato sdoganato dall’Agenzia Italiana del Farmaco nel novembre 2018, ma già prima era impiegato e oggi trova uso per pazienti ambulatoriali e per la sedazione palliativa a domicilio. I legali di Cazzaniga hanno in serbo un’altra carta. Sollevano una eccezione di nullità dell’udienza in quanto ritengono lesi i loro diritti di difensori perché i periti hanno potuto prendere visione dei verbali delle udienze della difesa e hanno avuto modo di trattare anche il tema della sedazione palliativa, che non rientrava nei due quesiti sulla somministrazione dei farmaci e su un collegamento fra questa e la morte dei pazienti. La Corte si ritira in camera di consiglio e delibera per la nullità dell’udienza nelle parti estranee ai quesiti peritali. Il 21 ottobre la ripresa.