Processo Piccolomo, ora il giallo del silenzio

In aula l’uomo tace e la moglie malata resta in Marocco. Scontro di perizie

Giuseppe Piccolomo (Newpress)

Giuseppe Piccolomo (Newpress)

Varese, 18 novembre 2018 - Morte di Marisa Maldera: disattese tutte le aspettative. La seconda moglie di Giuseppe Piccolomo, considerata parte del movente dell’omicidio di cui il killer delle mani mozzate è accusato, Thali Zineb, attesa per ieri, ha fatto avere un certificato medico dal Marocco che attesta la sua impossibilità a muoversi. Piccolomo stesso, che avrebbe dovuto testimoniare ieri, ha cambiato idea. Nel pomeriggio, dopo la ripresa dell’udienza, quando l’esame dell’imputato era ormai dato per certo Piccolomo ha detto no.

«Non posso spiegare adesso il perché – ha spiegato il difensore Stefano Bruno – il mio assistito testimonierà nel corso della prossima udienza, forse. Oppure renderà spontanee dichiarazioni». Il perché resta un mistero. Un giallo: Piccolomo tace, nonostante dalla gabbia nel corso del processo abbia più volte fatto sentire la sua voce, soprattutto contro le figlie, ma senza una ragione palese. «Lo spiegheremo più avanti», si è limitato a commentare il difensore. La seconda moglie, che a quanto pare era con Piccolomo prima che Maldera morisse arsa viva in uno strano incidente stradale avvenuto nel febbraio 2003, non si è fatta viva. Piccolomo ha ricevuto una maglietta con stampata la fotografia della moglie e della figlia che hanno avuto . Tutto qui. La donna è malata e resta in Marocco. Piccolomo rifiuta, per ora di parlare. Perché?

Il resto dell’udienza è stata caratterizzata da uno scontro di perizie. Aveva assunto tranquillanti ma non sufficienti per provocare obnubilamento, solo quanto basta per lasciare tracce nel sangue di Marisa Maldera, secondo il perito delle difesa, il professor Mario Tavani alla guida dell’istituto di medicina legale di Varese dal 1983 al 2014. E l’auto sulla quale la donna viaggiava quella notte di febbraio di 15 anni fa guidata dall’imputato per il suo omicidio, il marito Giuseppe Piccolomo, potrebbe essersi in effetti ribaltata a bassa velocità dopo l’uscita di strada nel campo di Caravate, prima di prendere fuoco. Lo ha detto, nella sua relazione, Rino Sartorelli, esperto di ricostruzioni cinematiche oggi ascoltato dalla Corte d’Assise di Varese.

Il dibattito più acceso si è registrato tuttavia sulle terminologie tecniche adottate per definire quante benzodiazepine sono state trovate nel metabolismo della vittima e se quanto trovato abbia fatto effetto. Per Mario Tavani le quantità di tranquillante trovato nel sangue non sarebbero sufficienti per causare un “effetto terapeutico” poiché il mancato passaggio della sostanza nelle urine – dove il principio attivo non è stato rinvenuto – indica l’assenza di efficacia del medicinale, il Tavor, «che secondo quanto riportato nel bugiardino produce effetti fra i 15 e i 40 minuti dopo l’assunzione». Potrebbe essersi trattato quindi, secondo il perito, di un’assunzione sporadica e immediatamente precedente al rogo che ha ucciso la donna. O di un “falso positivo”: un errore, in pratica. Su questo probabilmente avverrà un ulteriore confronto col perito della difesa, la professoressa Cristiana Stramesi.