Orrigoni, dalla candidatura flop ai domiciliari: l’uomo Tigros al tappeto

Ordinanza cautelare nell’ambito della nuova tranche dell’indagine 'Mensa dei poveri'

Paolo Orrigoni nel 2009 quando presentò la lotteria per un posto di lavoro

Paolo Orrigoni nel 2009 quando presentò la lotteria per un posto di lavoro

Varese, 15 novembre 2019 - L’impero ereditato da papà Luigi, l’ambizione di consolidare il marchio attraverso trovate di marketing sorprendenti ma anche un’avventura politica conclusa alla prima casella. Questa era fino a ieri, giorno in cui la Guardia di finanza ha suonato il campanello della bella casa nel centro di Varese, la traiettoria di Paolo Orrigoni, classe 1977, amministratore delegato della catena di supermercati Tigros. I militari gli hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari, nell’ambito della nuova tranche dell’indagine “Mensa dei poveri”.

Un brutto colpo. Per l’immagine dell’azienda ma soprattutto per un imprenditore di successo che, se il centrodestra avesse vinto le elezioni del 2016, oggi sarebbe anche stato seduto sulla poltrona di sindaco. Quel ko, fino al coinvolgimento nell’inchiesta milanese, era l’unica ombra di una carriera nel segno del marchio della tigre in campo giallo. Paolo Orrigoni ha 2 anni quando, nel 1979, papà Luigi trasforma una rivendita di vini e acque a Castronno nel primo dei suoi supermercati. Il fondatore per il nome s’ispira alla catena svizzera Migros. Vuole un’immagine più aggressiva, però. Cambia l’iniziale, aggiunge il profilo di una tigre e il gioco è fatto. Il figlio entra in azienda dopo la laurea in Giurisprudenza e una breve esperienza in una società che produce antifurti. Alla morte di papà, nel 2008, Paolo Orrigoni eredita un patrimonio composto, allora, da 59 punti vendita. Subito, con l’aiuto delle sorelle Manuela e Maria Veronica, cerca di dare una sua impronta al business. Per i Mondiali varesini di ciclismo 2008 s’inventa un gratta e vinci che mette in palio premi a profusione, comprese cinque 500. Per i trent’anni d’attività organizza uno spettacolo al palazzetto dello sport per dipendenti e clienti: mattatore della serata è Fiorello.

L’idea più esplosiva, però, è la lotteria del posto di lavoro. È il 2009, l’anno della grande crisi economica. A fine agosto Orrigoni presenta la nuova iniziativa. Chiunque spenda almeno 30 euro in un supermercato riceve una cartolina da compilare con i suoi dati. Alla fine vengono sorteggiati dieci “fortunati”, vincitori di un contratto a tempo determinato di un anno da addetto alle vendite. Non mancano le critiche, ma il successo è incontestabile. Partecipano 350mila aspiranti dipendenti Tigros, con un ritorno d’immagine (e anche di cassa, essendo il concorso legato alla spesa). Gli affari procedono con il vento in poppa. I punti vendita diventano 65, per un fatturato totale da 600 milioni e un utile netto da 21 milioni (dati 2018). Nel tempo libero Orrigoni coltiva la passione per lo sport. È un maratoneta di discreto livello. Nel 2010 è fra i migliori del contingente varesino a New York. Il calcio lo stuzzica. Si parla di lui come possibile nuovo patron di Pro Patria e Varese. Piste che sfumano.

Non sfuma, invece, quella che lo porta a candidarsi come sindaco a Varese. Nel 2016, al termine di un lungo confronto, la coalizione di centrodestra, su indicazione della Lega (a cui l’imprenditore è considerato vicino), lo sceglie come sfidante del Pd Davide Galimberti. Anche qui non mancano gli inciampi. Come quando annuncia che non parteciperà all’inaugurazione dell’Esselunga di via Gasparotto, piano approvato dalla precedente giunta Fontana, in caso di elezione a sindaco. I toni della campagna, comunque, restano sobri. E forse proprio questa mancanza di mordente è il rimprovero più importante che viene mosso a Orrigoni dai partiti che lo sostengono, all’indomani di un inatteso ko al ballottaggio. La cifra della sobrietà (o della scarsa vivacità, a sentire i critici) gli resta anche da consigliere comunale. Anche perché bisogna tornare a concentrarsi sull’azienda. Fino a quando rimane impigliato nelle maglie dell’inchiesta milanese. Prima come testimone, poi come indagato a piede libero. Da ieri come detenuto, seppure ai domiciliari.