Caso Lidia Macchi, quei dubbi emersi a trent'anni dal delitto

Il racconto della testimone su Binda al processo

Delitto Macchi, Stefano Binda a processo

Delitto Macchi, Stefano Binda a processo

Varese, 12 maggio 2017 - Cosa impedisce a Stefano Binda di andare all’ospedale di Cittiglio, dove è ricoverata per un incidente Paola Bonari, l’amica che ha in comune con Lidia Macchi? È assente per un soggiorno-vacanza a Pragelato (come ha sempre sostenuto) o impedito da un “contrattempo”, come dichiara una testimone? È il 13 febbraio del 2016. Nella stazione dei carabinieri di Besozzo, il sostituto procuratore generale Carmen Manfredda raccoglie le dichiarazioni di una donna poco più che quarantenne. Ha frequentato assiduamente Binda e diviso con lui esperienze di droga. Guardano un servizio televisivo sul caso Macchi. La donna fa mettere a verbale: «Stefano mi aveva detto che conosceva la ragazza, perché andava a scuola con lei e che era anche andato ai suoi funerali. Ha anche aggiunto, riguardo alle circostanze della scomparsa e della morte di Lidia, ritrovata cadavere nei pressi dell’ospedale di Cittiglio, che anche lui doveva andare a trovare in ospedale Paola Bonari, che però non era andato perché aveva avuto un ‘contrattempo’. Non ricordo se Stefano abbia detto ‘quel giorno lì o quella sera (l’omicidio avviene il 5 gennaio 1987 - ndr) e non so quale durata abbia avuto il ricovero di Paola. Ho ripensato a queste dichiarazioni quando ho appreso che Stefano era stato arrestato per l’omicidio di Lidia e che aveva sempre addotto a sua difesa l’alibi di Pragelato. Ho ricordato che all’epoca Stefano mi aveva parlato di ‘contrattempo’ e non di vacanza». Il suo “grado” di conoscenza con la vittima è un punto centrale del processo a Binda. «Sono emersi - dice l’avvocato Daniele Pizzi (nella foto), legale della famiglia Macchi -, in modo chiaro, elementi che testimoniano quantomeno la reciproca conoscenza. Binda ha in casa il libro di poesie di Lidia, la foto in bianco e nero, quella a colori distribuita dopo il funerale. Va con Giuseppe Soggiu a fare le condoglianze, la mamma di Lidia li trattiene a cena. Partecipa alle messe di suffragio. Ha il telefono dei Macchi e Lidia ha il suo in un’agendina del 1983. Premesso che per uccidere una persona non occorre essere amici o conoscenti, mi pare evidente che quella sera Lidia abbia fatto salire in auto una persona che conosceva, di cui si fidava».