Omicidio Macchi, colpo di scena: riaperta l'istruttoria in Appello

I giudici vogliono vederci chiaro sulla famosa lettera "In morte di un'amica" che per l'accusa sarebbe stata scritta da Binda, condannato all'ergastolo in primo grado

Stefano Binda in aula a Milano

Stefano Binda in aula a Milano

Milano, 11 luglio 2019 - A oltre 30 anni dalla morte di Lidia Macchi, la 21enne uccisa nel 1987 in un bosco a Cittiglio, nel varesotto, il caso si arricchisce di un nuovo colpo di scena. La Corte d'Assise d'Appello di Milano ha deciso questo pomeriggio, accogliendo la richiesta della difesa, di riaprire l'istruttoria dibattimentale nel processo a carico di Stefano Binda, il 51enne ex compagno di liceo della ragazza, come lei militante di Comunione e Liberazione, arrestato nel 2016 dopo anni di silenzio investigativo.

I giudici vogliono vederci chiaro su una delle prove considerate decisive dalla Corte d'Assise di Varese che, nell'aprile dello scorso anno, ha condannato Binda all'ergastolo per omicidio volontario aggravato dalla violenza sessuale. Ovvero quella lettera, contenente la prosa dal titolo 'In morte di un'amicà che, secondo gli inquirenti, fu inviata dal presunto assassino alla famiglia Macchi il giorno del funerale.

Verranno quindi chiamati a testimoniare Piergiorgio Vittorini, un penalista bresciano già sentito nel processo di primo grado (si avvalse però del segreto professionale), al quale si sarebbe rivolto un uomo, dichiarando di essere il vero autore del testo. Testo che invece, per i magistrati che avocarono l'inchiesta 30 anni dopo il delitto, sarebbe stato scritto invece proprio da Binda.

Il prossimo 18 luglio saranno anche sentiti i due consulenti grafologici - uno dell'accusa e l'altro della difesa - ma non è escluso che i giudici, dopo il confronto tra i due consulenti, possano ordinare una nuova maxi perizia grafologica. «Quando ho ricevuto la missiva, il giorno del funerale - ha detto oggi Paola Bettoni, madre di Lidia - mi ha dato impressione che descrivesse la morte di mia figlia». L'imputato, che oggi era presente in aula, ha fatto sapere di volere rendere dichiarazioni spontanee. «Mi aspetto che Stefano Binda dica la verità», ha aggiunto la donna, parte civile e assistita dal legale Daniele Pizzi.

«È sempre molto dura vederlo - ha aggiunto - lui non mi ha guardata, non mi ha mai rivolto la parola o uno sguardo». Gli avvocati di Binda, Patrizia Esposito e Sergio Martelli, si sono detti «molto contenti della riapertura dell'istruttoria, ci abbiamo puntato molto». E ancora: «Ci fa piacere che la Corte abbia deciso così per ragioni di tipo tecnico-processuale».