Delitto Macchi, l’ex della donna che accusò Binda: "Stefano l’ossessione di Patrizia"

Denunciato un teste dell’ultima udienza

Stefano Binda

Stefano Binda

Varese, 24 giugno 2017 - «Stefano Binda per Patrizia era una ossessione». Al processo per l’omicidio di Lidia Macchi depone Pietro Catania, per tre anni, dal ‘90 al ‘93, sentimentalmente legato alla donna che con le sue dichiarazioni costituisce uno dei cardini dell’accusa contro Binda: questo, soprattutto, per avere riconosciuto la grafia dell’amico in quella della prosa anonima “In morte di un’amica” recapitata alla famiglia Macchi il giorno dei funerali di Lidia, il 10 gennaio 1987. Platonicamente innamorata di Binda e del suo fascino intellettuale, non era mai stata corrisposta.

Per due volte la Bianchi aveva manifestato al fidanzato Pietro i suoi sospetti su Stefano per l’omicidio Macchi. La prima volta erano insieme in auto sul lungolago di Varese. Nel passare davanti a una birreria, la donna aveva ricordato di quando, qualche giorno dopo la morte di Lidia, aveva accompagnato nella zona Stefano Binda, che doveva acquistare dello stupefacente. Come se il giovane stesse vivendo una situazione di disagio. La seconda volta erano nell’abitazione della donna e quest’ultima aveva ribadito i suoi sospetti. Il presidente della Corte d’Assise di Varese, Orazio Muscato, interviene per porre una domanda: «C’era un elemento di acrimonia? Che atteggiamento aveva Patrizia Bianchi verso Binda?». «Non è - risponde il testimone - il termine tecnico medico più corretto, ma nel linguaggio comune si potrebbe parlare di ossessione. Patrizia aveva due relazioni, una prima di me e l’altra mentre eravamo insieme, delle quali non parlava, mentre Binda era anche molto presente nei suoi discorsi».

E oggi, chiede l’avvocato Patrizia Esposito, difensore con Sergio Martelli? «Oggi ho motivo di dubitare di tante cose che Patrizia mi aveva detto. Sull’omicidio Macchi, ai miei occhi, mancano le ragioni di queste affermazioni». La Corte si ritira ed esce con una ordinanza. Dopo la testimonianza di Catania, i giudici decidono che Patrizia Bianchi non verrà ascoltata in aula soltanto per circostanze sulle quali non era stata interrogata nell’incidente probatorio, ma «ma su tutte le circostanze utili ai fini del processo».

La nuova udienza parte con due detonazioni, azionate entrambe dall’accusa. La prima è il ritrovamento di nuovi reperti della vittima. La seconda deflagra quando il sostituto procuratore generale Gemma Gualdi annuncia di avere denunciato per falsa testimonianza Gianluca Bacchi Mellini, il testimone che nell’udienza del 14 giugno aveva confermato l’alibi dell’imputato, la sua presenza nella vacanza di studio a Pragelato dall’1 al 6 gennaio 1987 (Lidia viene uccisa la sera del 5), dichiarando anche che avevano diviso la stessa stanza e lo stesso letto a castello. «È emerso - saetta il sostituto pg, che ha acquisito il video dell’udienza - in modo manifesto e inequivoco che il testimone ha mentito spudoratamente e ha fatto un segno d’intesa, clamoroso, con un occhiolino smaccato al suo vecchio amico. Non posso consentire che si inquinino con menzogne queste aule». Dura la reazione della difesa, che definisce «inaccettabile» il provvedimento.