Omicidio Lidia Macchi, Stefano Binda "assolto con formula piena"

Per i giudici dell’Appello non ha commesso il fatto

La sentenza di secondo grado scagiona Binda

La sentenza di secondo grado scagiona Binda

Varese, 27 luglio 2019 - «Assolto per non avere commesso il fatto». Nell’aula della prima Corte d’Assise uno Stefano Binda reso attonito dalla felicità, ascolta la sentenza che dopo tre anni e mezzo lo scagiona dall’accusa di essere l’assassino di Lidia Macchi. Assolto dai giudici milanesi con la più piena delle formule. Meritava, al contrario, di rimanere in carcere, secondo gli “ermellini” della Cassazione. Il loro diniego alla revoca dell’ordinanza di custodia era stato il terzo dopo il pronunciamento di un’altra sezione dell’appello milanese e l’ordinanza del Riesame. I difensori, Patrizia Esposito e Sergio Martelli, ancora una volta avevano vigorosamente quanto inutilmente attaccato i capisaldi della custodia in carcere: pericolo di fuga, inquinamento delle prove, reiterazione del reato.

Quattro giorni dopo ecco, invece, Stefano Binda pienamente libero. Un particolare curioso. Se questa libertà dovesse essere sancita e resa definitiva dalla Cassazione, Binda si vedrebbe restituire tutto il materiale cartaceo sequestrato nel corso delle perquisizioni in casa e che è poi confluito nei faldoni del processo. Un mare, meglio ancora un oceano, nel quale galleggiano diari, agende, quaderni, appunti, fogli volanti. Ne erano scaturiti anche elementi portati dall’accusa, come la frase «Stefano è un barbaro assassino» appuntata sul retro di una versione di greco e mai riconosciuta come autografa dall’ormai ex imputato.

In alcune dichiarazioni subito dopo la scarcerazione Binda ha espresso il timore che la parte civile, dopo essersi vista respingere l’istanza di ricusazione del collegio giudicante (a decidere in questo senso era stata la quinta Corte d’appello), potesse fare ricorso in Cassazione. Un timore che dovrebbe risultare infondato. Il ricorso alla Suprema Corte avrebbe dovuto essere annunciato all’inizio dell’udienza da cui sarebbe uscita la sentenza. A questo punto la sentenza, il giudicato assumono un valore superiore. L’appuntamento sarà comunque a Roma, nel palazzo di piazza Cavour. Il ricorso in Cassazione contro la sentenza potrà venire richiesto entro 45 giorni dal deposito delle motivazioni.