Morti in corsia a Saronno, sospetti sulle cure di Cazzaniga al suocero dell'amante

Il medico accusato dei decessi in corsia e quelle strane interferenze nel ricovero di Luciano Guerra

Leonardo Cazzaniga in tribunale a Busto (Newpress)

Leonardo Cazzaniga in tribunale a Busto (Newpress)

Busto Arsizio (Varese), 22 settembre 2018 - Intanto si apprende che Leonardo Cazzaniga tifa Milan. Per quanto l’ex aiuto primario del pronto soccorso di Saronno si volti verso i difensori per quella che ha tutta l’aria di una smentita non appena il testimone lo dichiara, riferendo una battuta: «Io sono milanista, tu sei interista. Se passi dal pronto soccorso ti faccio fuori». Colori e amori calcistici a parte, la nuova udienza del processo “Angeli e demoni” in Assise a Busto Arsizio, è incentrata sulla morte di Luciano Guerra, suocero di Laura Taroni. Il medico condivideva con l’ex amante l’accusa di omicidio, ma la donna è stata assolta per non avere commesso il fatto. 

Luciano Guerra ha 78 anni e soffre di più patologie quando, il primo ottobre del 2013, viene ricoverato in Medicina dove muore, il giorno 20. La salma è stata esumata il 3 aprile di un anno fa. I periti hanno accertato un presenza significativa di Midazolam, ansiolitico e sedativo, in fegato e reni e tracce anche nell’encefalo. Leonardo Cazzaniga era comparso nel reparto e contestava quello che giudicava un accanimento terapeutico, tanto che era scattato per lui una sorta di embargo. Potrebbe avere fatto altro? Un cerchio difficile da chiudere e infatti le testimonianze in aula lo hanno soprattutto allargato. Depone Edi Miceli, all’epoca medico internista all’Amic, l’Area medica intensità di cure, la sezione della Medicina per i degenti più critici. «Cazzaniga ha cercato d’interferire nella terapia del paziente. La dottoressa Novati, responsabile dell’Amic, era un po’ arrabbiata».

Il pm Maria Cristina Ria ricorda alla teste le dichiarazioni rese ai carabinieri il 13 giugno del 2016: gli infermieri avrebbero visto Cazzaniga manipolare il “casco”, una specie di scafandro che aiutava il paziente in crisi respiratoria. Una cosa pericolosa, per la quale la Novati si era «arrabbiata». Nello stesso verbale una frase di Cazzaniga riferita a Luciano: aveva già un piede nella fossa e ogni tentativo di cura era inutile. La difesa dell’imputato parte con il controesame e segna tre mezzi punti a favore. Se il respiratore fosse stato manomesso, sul monitor sarebbe scattato l’allarme. Se i valori impostati fossero risultati alterati, la cartella clinica l’avrebbe riportato. Se così fosse avvenuto, sarebbero stati reimpostati i numeri originali. Paola Novati, al tempo responsabile dell’area Amic, ricorda la «presenza disturbante» di Cazzaniga e le sue frasi: «Ma cosa fai?», «Perché l’hai trasportato?», «Perché gli hai messo il casco?». Tanto da chiedere l’intervento del primario, Giuseppe Monti. Anche per un’altra ragione: «C’erano pettegolezzi su Cazzaniga e la Taroni. C’erano dubbi sul marito della Taroni. Sapevo che era deceduto e che c’era stato un vociferare su patologie strane di cui non si era capita la causa». 

Alcuni infermieri l’avevano informata di avere notato Cazzaniga armeggiare con il “casco”? La risposta è precisa: «Non ricordo assolutamente». Francesco Loprete è il medico che ha accolto Luciano Guerra per il ricovero e ne ha constatato il decesso. Non ricorda Cazzaniga il giorno della morte dell’anziano. Ha visitato il paziente per l’ultima volta alle 10.20 del 20 ottobre 2013. Era soporoso ma non in coma, anche se si era aggravato. Era imminente il pericolo di vita, chiede il pm? «Imminente no». Alle 12 la fine. Rimane la domanda di fondo: chi ha somministrato il Midazolam a Luciano Guerra?