Turista caduta dall'hotel e morta, la perizia: "Testimone troppo bassa per avere visto"

Donna precipitata: il racconto di un’atleta portò all’arresto del marito

L’intervento dei carabinieri dopo la tragedia

L’intervento dei carabinieri dopo la tragedia

Busto Arsizio, 3 gennaio 2017 - C’è un uomo in carcere da sette mesi accusato di aver ucciso la moglie facendola precipitare dalla finestra dell’albergo mentre erano in luna di miele. È un coreano 51enne che non sa una parola di italiano né di inglese, ma attraverso l’interprete e il suo avvocato giura di essere innocente. E c’è il teste chiave dell’inchiesta, una giovane donna che nell’Ibis Hotel di Cardano al Campo occupava la stanza a fianco, la 124. Anche lei coreana, è una schermitrice di livello olimpico sempre in viaggio per il mondo. Nel corso di un incidente probatorio ha giurato davanti al giudice di aver sentito litigare per ore la coppia, quella sera, e di essersi poi sporta dalla finestra della camera vedendo un uomo, ma solo di schiena, che spingeva giù la vittima. Nell’indagine condotta dalla procura di Busto ci sono anche altri indizi che per il magistrato inchioderebbero il presunto assassino. Ma la prova fondamentale che ha tenuto finora in cella l’indagato è quella: la testimonianza dell’atleta. Ora, dopo sette mesi di custodia cautelare dell’uomo e la chiusura delle indagini preliminari, per gli avvocati Guido Camera e Daniela Quatraro, che difendono Dahee Park, dall’autopsia e dalle consulenze tecniche emergono elementi che mettono in discussione le parole della schermitrice Choi In-jeong.

Primo. I rumori di «percosse e vessazioni» che la teste dice di aver percepito per ore come provenienti dalla camera di Park e della moglie Aan Jungmee, 46 anni. Ma sul cadavere della donna, precipitata morendo sul colpo, non è emerso alcun segno compatibile con violenza o trascinamento. Nessun livido, non un graffio, vestiti composti. Difficile, dopo ore di presunte percosse.

Secondo. Lesioni in realtà c’erano solo nella regione cervicale. Per la procura, sono la conseguenza di un «tentativo di afferramento a mani nude». Ma i rilievi dei Ris hanno dato esito negativo: nessuna traccia di dna sul collo della vittima. E per il professor Andrea Piccinini, responsabile del laboratorio di genetica forense della Statale di Milano, consulente della difesa, in relazione a un’accusa del genere la mancanza di qualunque traccia di dna del presunto assassino «francamente stupisce, per non dire che contrasta con ogni logica».

Terzo. La schiena dell’uomo vista dalla schermitrice sporgendosi dalla finestra. Stando a una consulenza tecnica audiovisiva affidata a un docente del Politecnico e prodotta dalla difesa, chi si fosse sporto dalla finestra della camera 124 «non risultava in grado di vedere l’intero spessore della spalletta della finestra della camera 122 (quella della coppia, ndr.) e neanche minimamente all’interno della stessa». E se per caso l’aggressore si fosse sporto dalla finestra della 122, dalla stanza 124 sarebbe riuscito a vederlo - a sua volta sporgendosi - solo «un osservatore alto 1,85». Più dell’altezza della schermitrice coreana (1,72), sostiene l’avvocato Camera. E c’è un ultimo particolare. Il turista americano Adam Tanner, che occupava una camera al piano di sopra, ha messo a verbale di aver sì visto la povera Jungmee (quella sera, mezza ubriaca) cadere. Ma di un uomo alle sue spalle, neppure l’ombra.