La Procura mette i puntini sulle “i”: scontro sulle lettere del caso Macchi

Il perito della difesa: non è la grafia di Binda. La Procura: verifiche su fotocopie

Lidia Macchi, la giovane uccisa nel 1987

Lidia Macchi, la giovane uccisa nel 1987

Varese, 14 ottobre 2017 - «In scienza e coscienza non posso attribuire le scritture al dottor Binda. Non c’è niente che induca, con ragionevole certezza, ad attribuire queste scritture al dottor Binda». È la conclusione della grafologa Cinzia Altieri, consulente e teste della difesa dell’uomo processato per l’omicidio di Lidia Macchi. L’esperta della difesa ha lavorato su tre scritti attribuiti all’imputato: “In morte di un’amica”, la lugubre prosa anonima recapitata alla famiglia Macchi in 10 gennaio del 1987, poco prima che si svolgessero i funerali di Lidia; l’indirizzo sulla busta; la frase «Stefano è un barbaro assassino» vergata sul retro di un foglio con una versione di greco, sequestrato nell’abitazione di Stefano Binda, a Brebbia.

Secondo la consulente Altieri la scrittura di nessuno dei tre è riconducibile a Binda. Una conclusione antitetica a quella a cui era giunta la grafologa Susanna Contessini, incaricata dalla procura generale: un caposaldo dell’accusa contro il cinquantenne ex compagno di liceo di Lidia Macchi. Serrato, frontale, più volte duro, il controesame da parte dell’accusa, il sostituto procurtore generale Gemma Gualdi, tanto che i legali di Binda sono vivacemente. Al termine dell’udienza ardevano ancora le braci della battaglia. La grafologa deposita un’integrazione della consulenza e spiega di avere tenuto come riferimenti per la comparazione autografi di Binda, le quattro cartoline da lui scritte all’amica di un tempo Patrizia Bianchi (che le consegnò alla Mobile di Varese e fu una delle svolte dell’inchiesta, scritti della stessa Bianchi, ma solo ha precisato, per parametro di comparazione, “potevano essere di chiunque altro”. Nel merito, si addentra in una esposizione minuziosa, aiutandosi con numerose slide. Quella che ha redatto in stampatello “In morte di un’amica” è la scrittura abituale dell’estensore. Così come è naturale e abituale la grafia degli scritti sequestrati a Binda. Esistono somiglianze fra scritture di mani diverse, ma qui importano le differenze, che sono importanti e sostanziali.

Per esempio Binda non è uso mettere i punti sopra le “i”. Fa uno scarsissimo ricorso ai segni d’interpunzione. Sembra amare il punto esclamativo che invece non viene usato in “In morte di un’amica” dove avrebbe trovato una giustificazione nell’enfasi che pervade la prosa anonima. Diversa la formazione di r, l, t. Conclusione: “In morte di un’amica”, l’indirizzo sulla busta, la frase “Stefano è un barbaro assassino” non sono usciti dalla mano di Binda. «L’attribuzione non presenta elementi inequivocabili di identificazione». L’attacco del sostituto pg Gualdi è immediato e diretto. «Per il lavoro della consulente della procura generale lei parla di decisioni prese per fede», scandisce, e subito dopo ventila una possibile azione penale. Scatta il “mi oppongo” dell’avvocato Sergio Martelli, difensore con Parizia Esposito. È scontro. E ancora la critica per avere lavorato su fotografie e fotocopie e non sui materiali originali e a seguire una raffica di altri rilievi. «Toni assolutamente inaccettabili», insorge nuovamente il legale. «Mi permetto i toni - replica il pg -. C’è una persona uccisa. E c’è una persona in carcere che se è colpevole dovrà rispondere e se è innocente sta soffrendo grandemente per la sua detenzione».