Delitto Macchi, post dell'imputato sul mito di Zeus per il compleanno della vittima

Spunta un nuovo enigma su Facebook

Delitto Macchi, Stefano Binda a processo

Delitto Macchi, Stefano Binda a processo

Varese, 30 aprile 2017 - Stefano Binda scuote la testa e dice per tre volte «No». L’avvocato Daniele Pizzi, legale della famiglia di Lidia Macchi, legge un testo su Facebook e chiede ai giudici di produrlo. È il 28 febbraio del 2014. Lidia compirebbe 48 anni se il 5 gennaio del 1987 il coltello del suo assassino non l’avesse colpita per ventinove volte. Binda, l’uomo che ora è sotto processo davanti alla Corte d’assise a Varese con l’accusa di omicidio, pubblica un post sulla sua pagina Facebook: «Zeus amava quella ragazza di nome Io, avrebbe fatto qualsiasi cosa per averla. Le propose un bosco fatto delle cose più belle, in cui solo lui l’avrebbe trovata e amata. Io, sacerdotessa di Era, incurante delle conseguenze di un rifiuto, prese in mano la sua sorte e decise di scappare lontano, e fu quella la sua disgrazia». È il mito greco di Zeus (Giove) che, innamorato della sacerdotessa Io, l’avvolge nelle nubi per eludere la gelosia della moglie Era (Giunone). Il compleanno. Il bosco: Lidia muore nei boschi del Sass Pinì, a Cittiglio. La parola “rifiuto” nella prosa anonima “In morte di un’amica”, recapitata alla famiglia il giorno dei funerali e attribuita a Binda: «La morte grida e grida l’Uomo della Croce. Rifiuto, il grande rifiuto».

«Lo considero comunque - dice l’avvocato Pizzi in aula, nel corso dell’ultima udienza del processo - un ulteriore elemento importante da portare all’attenzione della Corte. Ritengo che non possa essere considerato tutto soltanto una coincidenza». Replica il difensore Patrizia Esposito: «Si tratta semplicemente della condivisione di un pensiero scritto da un altro sul blog di Magre Sponde, l’associazione culturale di Brebbia di cui Binda faceva parte. Binda lo ha solo condiviso. Non è un riferimento diretto e specifico a Lidia, né tantomeno una confessione». Molti gli spunti nell’ultima udienza. Viene ripetutamente citato l’ex sostituto procuratore di Varese Agostino Abate. Sebastiano Bartolotta, fino al 2013 capo della squadra mobile, ricorda che nell’estate del 2009 il pm non diede seguito a una richiesta dell’Unità delitti insoluti di nuove analisi sui vetrini con il liquido seminale dell’assassino. Ma i tredici vetrini non esistevano più da nove anni perché il gip ne aveva autorizzato la distruzione. La surreale, dolorosa vicenda di don Antonio Costabile, animatore del gruppo scoutistico frequentato da Lidia, il prete che benedisse il cadavere. Le due versioni date sulla sua serata di quel 5 gennaio. Una lettera, conservata nella borsa, in cui la ragazza si rivolgeva a un amore impossibile. Il racconto fatto dalla governante del religioso di un coltello da scout scomparso. Questo orientò l’attenzione sul sacerdote, che per quasi trent’anni, oltre a vivere un dramma umano, si trovò al centro di un paradosso giudiziario. Non venne mai formalmente indagato. Lo scoprì la Procura generale di Milano, dopo l’avocazione del fascicolo. Nel luglio del 2014 si provvide all’iscrizione per poter archiviare immediatamente.