Processo Lidia Macchi, un'auto è l'ultima speranza

La difesa: la berlina bianca non era dell’imputato, Stefano Binda

Lidia Macchi

Lidia Macchi

Varese, 22 aprile 2018 - Un'auto bianca che la sera del 5 gennaio 1987 si arresta davanti all’ospedale di Cittiglio. Lidia Macchi sta per uscire dopo una visita all’amica Paola Bonari, ricoverata, e s’imbatterà nel suo assassino. Un’auto bianca, di grossa cilindrata. Secondo l’accusa la Fiat 131 di Stefano Binda, l’uomo che martedì prossimo conoscerà la sentenza della Corte d’Assise di Varese. L’ombra di un molestatore che all’epoca di aggira nella zona, evocata venerdì nelle arringhe dei difensori di Binda, gli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli. 

Un episodio in particolare. Nel mese di novembre del 1987 A. F., una donna di Cuveglio, non ancora trentenne, si presenta negli uffici della squadra mobile di Varese. Fa mettere a verbale il racconto di un episodio che risale a ben dieci mesi prima, verso le otto della sera di domenica 11 gennaio, sei giorni dopo la morte di Lidia Macchi. Si trovava in un bar di Cuveglio con la sua bambina di sei anni e un’amica, quando è entrato un uomo sui trent’anni, alto attorno al metro e 70, robusto, bruno, baffi folti (un tratto comune al molestatore di alcune donne, nei pressi dell’ospedale di Cittiglio). L’uomo, dopo avere ordinato un caffè e cinque pacchetti di sigarette, rivolge alle due donne alcune parole incomprensibili. Le due donne e la bambina escono.

«Quando siamo uscite - è il verbale -, abbiamo notato che vi era una autovettura di colore bianco, targata VA 88 (due numeri assenti nella targa dell’auto di Binda - ndr) ... coi fari accesi, parcheggiata di fronte all’ingresso del bar». A.F. con la bambina e l’amica si avvia a piedi verso casa. Quando si accorgono che l’uomo le sta seguendo, si mettono a correre. Lo sconosciuto desiste, sosta per un po’ davanti alla porta di casa, scompare. L’avvistamento dell’auto bianca è affidato alla testimonianza di Liliana Maccario, che la sera del 5 gennaio 1987 è in ospedale a Cittiglio per assistere la suocera, ricoverata al reparto di medicina. Verso le 20 si affaccia al balcone finestra della camera, che dà sul parcheggio, sgombro di auto. «Notavo un’autovettura di colore bianco di grossa cilindrata entrare nel posteggio dal viale alberato della stazione-via Marconi». L’auto si arresta nel parcheggio dell’ospedale. Aveva «i fari accesi, però non scese alcuna persona». La Maccario si riaffaccia una decina di minuti dopo. L’auto bianca è ancora lì. Nota una Panda chiara che, «lentamente, quasi a passo d’uomo», si dirige verso la stazione. Rivede la Panda verso le 13 del 7 gennaio, trasportata da un carroattrezzi.  È la Panda di Lidia Macchi, ritrovata tre ore prima sulla collina del Sass Pinin, accanto al suo corpo straziato. Una Panda da cui (hanno detto in aula i legali di Binda) è sparito il sedile del passeggero macchiato dal sangue della prima ferita di Lidia.