Caso Lidia Macchi, un'attesa lunga trent'anni

La studentessa scomparve il 5 gennaio 1987: aveva fatto visita a un'amica in ospedale. Il cadavere fu ritrovato due giorni dopo nei boschi, colpito da 29 coltellate

Lidia Macchi aveva 20 anni quando è stata uccisa

Lidia Macchi aveva 20 anni quando è stata uccisa

Varese, 5 gennaio 2016 - L’anno passato si è aperto con la svolta nelle indagini sull’omicidio di Lidia Macchi, l’arresto di Stefano Binda prelevato dagli agenti della Squadra mobile all’alba del 15 gennaio nella villetta di Brebbia dove abitava assieme alla madre e alla sorella e portato in carcere. E si è chiuso con il rinvio a giudizio dell’uomo, 49 anni, accusato di aver massacrato con 29 coltellate, trent’anni fa, la ragazza vicina a Comunione e Liberazione, sua ex compagna di liceo. In mezzo dodici mesi di colpi di scena, rivelazioni e accertamenti per far combaciare le tessere del mosaico e ricostruire episodi, relazioni e rapporti che risalgono alla fine degli anni ‘80. Investigatori e inquirenti non hanno lasciato nulla di intentato da quando, nel 2013, le indagini «congelate» per tanti anni furono avocate dal sostituto pg Carmen Manfredda e il fascicolo trasferito da Varese a Milano.

Inizialmente fu seguita l’ipotesi di un coinvolgimento di Giuseppe Piccolomo, il killer della tipografa di Cocquio Trevisago Carla Molinari chiamato in causa dalle due figlie. Poi il colpo di scena. Una donna, in passato amica di Lidia Macchi e di Stefano Binda, a distanza di trent’anni ha riconosciuto la scrittura del 49enne di Brebbia nel lugubre componimento anonimo «In morte di un’amica» inviato alla famiglia Macchi il giorno dei funerali della ragazza. Nella poesia elementi che, secondo gli inquirenti, solo l’assassino poteva conoscere. Sulla base di questa testimonianza le indagini si sono orientate su Binda e, nella sua casa, sono state sequestrate agende conservate per trent’anni, e un foglio con la scritta «Stefano è un barbaro assassino». Indizi che, assieme all’assenza di un alibi solido nell’arco temporale tra la scomparsa di Lidia Macchi, il 5 gennaio 1987, e il ritrovamento del cadavere nei boschi del Sass Pinì di Cittiglio, hanno portato all’arresto dell’uomo e a una svolta attesa per tanti anni dalla famiglia di Lidia.

Alla fine degli anni ‘80 Binda era un giovane carismatico ed estroso, con lo charme del poeta maledetto di provincia e alcuni problemi di droga, in un’epoca in cui l’eroina continuava a esercitare il suo fascino sui giovani. Aveva conosciuto Lidia Macchi al liceo, a Varese, entrambi gravitavano attorno all’ambiente di Cl. Sono trascorsi gli anni e Binda è diventato un uomo che, nonostante un lungo percorso di studi, non ha mai trovato un lavoro stabile e non ha mai lasciato il paese e la casa della famiglia. Una persona conosciuta a Brebbia anche per l’impegno nell’organizzazione di eventi culturali, che a volte è ricaduta nel tunnel della droga. Perché avrebbe ucciso Lidia Macchi? Secondo gli inquirenti dopo aver costretto la ragazza a un rapporto sessuale la colpì a morte in quanto «considerata causa di un rapporto sessuale vissuto come tradimento del proprio ossessivo e delirante credo religioso». Tradimento, si legge nel capo di imputazione, «da purificarsi con la morte». Lui, però, continua a proclamarsi innocente. E nega anche di aver scritto il componimento anonimo.